Tim Berners-Lee: un progetto per restituire il controllo dei dati agli utenti

Solid Framework

Accesso “selettivo” alle informazioni. I puntini rossi rappresentano i dati che l’applicazione non sarà in grado di visualizzare. Fonte: TechSpot.

Non è un segreto che Tim Berners-Lee, co-creatore del Word Wide Web insieme al collega Robert Cailliau, non sia pienamente soddisfatto dell’attuale stato della Rete. Come avevamo visto in un precedente post, Internet ha rivoluzionato completamente la società moderna ma allo stesso tempo ha portato con sé nuove sfide da superare, dalle forse fin troppo citate fake news fino alla lotta per la libera circolazione delle informazioni e delle opinioni (censura e controllo nei regimi più repressivi e forme meno tangibili, ma sempre presenti, anche nelle “società democratiche”) e la salvaguardia dei dati personali degli internauti.

Questi ultimi sono ormai una delle “merci” più pregiate sul “mercato informatico”, tanto è vero che colossi del Web come Google e Facebook, solo per citarne alcuni, hanno costruito le basi del proprio successo sulla vendita di una serie di informazioni riguardanti le abitudini, stili di vita ed interessi di milioni di persone (il social network di Zuckenberg conta oltre 2 miliardi di utenti attivi).

La startup Inrupt, fondata da Lee, ed il framework Solid (Social Linked Data) hanno l’ambizioso obiettivo di restituire il controllo dei dati agli utenti:

Solid è una piattaforma [che poggia sulle basi dell’attuale Word Wide Web]. Conferisce ad ogni utente [la possibilità di scegliere] dove siano archiviati i dati, quali persone o gruppi [possano accedervi], e quali applicazioni [siano utilizzate]. Consente a te, alla tua famiglia ed ai tuoi colleghi di collegare e condividere dati con chiunque. Permette alle persone di consultare contemporaneamente gli stessi dati ma con applicazioni diverse.

Solid [porta con sé] incredibili opportunità per la creatività, il problem-solving ed il commercio. Darà la possibilità a singoli individui, sviluppatori ed imprese di [creare], costruire e trovare innovative, affidabili e benefiche applicazioni e servizi. Vedo molteplici possibilità di mercato, incluse applicazioni e data storage Solid

afferma Lee in un lungo blog post programmatico.

Come funziona Solid?

Il progetto è ancora alle prima fasi ma Lee ha già fornito interessanti informazioni in merito. Il framework Solid si appoggia ai POD, dei “contenitori” all’interno dei quali ciascun utente archivia i propri dati personali (generalità, foto, video, documenti etc.). I POD, creabili mediante appositi software (anche da aziende, non solo privati) in fase di studio, potranno essere “posizionati” dove si desidera, dal server di una compagnia che offrirà servizi di hosting/gestione dei POD fino ad un classico dispositivo personale (tablet) connesso alla Rete.

Quando un’applicazione o un programma richiederanno l’accesso a determinate informazioni, il POD deciderà se acconsentirne o meno la fruibilità in base alle disposizioni dell’utente. Ad esempio Facebook (negli ultimi mesi nuovamente al centro dell’attenzione) potrebbe richiedere data di nascita, indirizzo e lista dei contatti personali al POD che, a sua volta, potrebbe autorizzare il social network a conoscere solamente la data di nascita dell’utente.

La visione di Lee ha indubbie potenzialità ma ci si chiede se quest’ultima possa effettivamente concretizzarsi ed imporsi sulla scena globale, fino a divenire uno standard. Considerando gli interessi che ruotano intorno al “mercato dei dati”, Solid incontrerà più di una difficoltà.

Il punto di forza di POD, il controllo totale dei dati nelle mani dell’utente, ne è allo stesso tempo la debolezza, come osserva il portale TechSpot: anche se YouTube decidesse domani stesso di convertirsi all’avveniristico framework, come reagirebbero gli investitori di fronte ad un sicuro calo delle rendite dovuto al meccanismo di “autorizzazione” dei POD? Non troppo bene. “A meno che Inrupt riesca in qualche modo a creare [delle varianti economicamente profittevoli] per le compagnie o gli consenta di creare delle piattaforme per contrastare Google e Facebook, i nostri dati rimarranno nelle mani delle grandi corporation”, conclude l’editorialista.

Fonti: 1, 2, 3