Come sempre, negli ultimi mesi dell’anno vengono fatti i vari bilanci sul percorso fatto congiuntamente ad alcune proiezioni dei possibili scenari da attendere nell’anno successivo. Non ne è esente il settore delle ICT, che anzi in un mondo in continuo mutamento ed avanzamento tecnologico è sicuramente uno dei punti focali dell’economia e del percorso di una nazione. Come spesso accade, prendiamo a modello i dati presentati dall’Osservatorio del Politecnico di Milano per capire dove stiamo andando e dove si concentreranno i maggiori sforzi delle aziende italiane per quel che riguarda la tecnologizzazione del paese.
Volendo iniziare da quelle che sono sicuramente delle buone notizie, la tendenza all’aumento degli investimenti non si ferma nemmeno nel 2025, quando farà segnare un +1,5% rispetto al 2024 e, appunto, continuando a salire da quasi dieci anni consecutivi. Questo dato non è da sottovalutare, se consideriamo anche lo scenario attuale europeo, le crisi in corso e quelle passate e oltretutto le grandi sfide dell’economia. È anche chiaro tuttavia come gli investimenti nel digitale siano comunque divenuti di vitale importanza per il mantenimento della competitività. Un’altra buona notizia è quella riguardante le percentuali di maggior crescita della spesa, che rimarranno piuttosto stabili per le grandi (+2%) e grandissime imprese (+1,2%), mentre saliranno per le piccole e per le medie addirittura rispettivamente del 3,7% e del 4%.
Ma dove si investirà? Gli studi dell’Osservatorio mostrano che i settori a maggior capacità di attrarre la spesa sono, innanzitutto, la cybersecurity con oltre il 50% degli interventi per le grandi e grandissime imprese e con oltre il 30% per le piccole e le medie. Sugli altri ambiti di investimento, ovviamente, le percentuali di investimento cambiano a seconda delle dimensioni delle aziende. Per le grandi e grandissime, dal secondo posto in giù della classifica sulle aree di maggior interesse troviamo la Business Intelligence e la Intelligenza Artificiale seguiti dai Big Data, l’AI generativa e le soluzioni ERP. Per le piccole e medie imprese invece convogliano più attenzione, dopo la sicurezza, la gestione dei servizi Cloud, Industria 4.0, software di collaborazione, gli ERP ed infine le connettività ed il 5G.
Passando alla centralità o meno della transizione digitale, dai dati mostrati dall’Osservatorio Polimi appare evidente come l’innovazione sia pienamente entrata nei piani strategici di quasi tutte le grandi aziende, mentre il punto debole risiede nel fatto che è tematica centrale solo in pochissimi casi. Passando invece alla cosiddetta Open Innovation, ovvero la pratica di innovare le proprie imprese utilizzando idee interne ed esterne attingendo al mercato per aumentare la propria digitalizzazione, anche in questo caso il ricorso a questa pratica è particolarmente dominante per le imprese di grandi dimensioni per motivi principalmente interni ma attingendo poi alle start-up ed alle università come elementi esterni di innovazione.
Passando ai ruoli chiave nei percorsi di digitalizzazione stanno continuando ad apparire sempre più figure ed uffici interni come ad esempio la direzione innovazione, istituita dal 39% delle imprese analizzate. Contestualmente a questi nuovi uffici si sono trovate figure più trasversali come coloro che son stati nominati Innovation Champions, ai quali ricorre il 44% delle aziende di tutte le dimensioni. Le necessità, adesso che esistono queste figure, sono diventate quelle di armonizzare lo sviluppo della innovazione senza nuocere e anzi migliorando la parte di business così come trovare il modo di coordinare i due uffici (innovazione e business) per mandare in attività le innovazioni stesse.
La crescita del ricorso all’Open Innovation si è ormai consolidata nel corso degli ultimi anni così come è più presente per le aziende da oltre 1000 dipendenti e più bassa (31%) per le PMI. Il ricorso si vede principalmente per soluzioni esterne che vengono internalizzate mediante la cooperazione, come abbiamo detto, con start-up, istituzioni universitarie e contest di settore. Le soluzioni invece che nascono all’interno ma vengono sviluppate poi esternamente si ricorre maggiormente a piattaforme e le collaborazioni tra aziende. Passando invece ai budget dedicati il discorso cambia, poiché poco più di un quarto delle imprese impiega una parte di budget esclusivamente per la Open Innovation mentre oltre un terzo non solo non lo destina ma nemmeno ha intenzione di farlo. Per gli esperti, invece, la Open Innovation è sicuramente utile per scoprire le novità tecnologiche così come le nuove occasioni per fare affari, ma non è ancora quantificabile la questione legata ai suoi vantaggi economici.
L’osservatorio, chiudendo il suo report, parla della collaborazione con realtà giovani come le start-up spiegando che quasi la metà delle grandi imprese ha collaborazioni da oltre tre anni con questi soggetti e che le coinvolge principalmente per rifornirsi di servizi o come partner per lo sviluppo di nuove soluzioni. Passando alle piccole e medie imprese invece questo contributo delle start-up si riduce parecchio, arrivando sotto al 10% sia per il ricorso che per l’intenzione a ricorrervi, arrivando anche a non considerare eventuali collaborazioni addirittura nel 71% dei casi. Da questi dati, come sempre esposti in modo puntuale dal Politecnico di Milano, si evincono, come dicevamo in apertura, dei dati positivi come negativi. Quelli positivi risiedono sicuramente nella conferma e della crescita, seppur abbastanza lenta, dei budget e dell’interesse nell’innovazione, mentre i negativi riguardano la mancanza di una sensibilità ancora forte da parte di soggetti che, di innovazione, potrebbero aver bisogno in modo massiccio e che ancora non vi ricorrono.
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