Social Network: tutti gli esperimenti falliti

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Negli ultimi giorni è balzato agli onori della cronaca il presunto cambio di nome di Facebook. Se a livello di piattaforme sviluppate non ci sarà alcuna operazione di rebranding è molto possibile che, al prossimo evento Connect 2021 previsto per il 28 ottobre, la società di Zuckerberg annunci questa grande novità. Le opzioni in ballo sembrano essere due: Horizon e Meta, ma non si escludono sorprese. Il motivo di questo nuovo nome risiede nella voglia del fondatore di improntare la sua società verso nuovi orizzonti. Il nome Horizon infatti riprende un progetto annunciato anni fa e che verte sul mondo della realtà virtuale, mentre Meta sembra essere più orientato sul metaverso, ovvero la fusione tra virtuale e reale. Un indizio è l’acquisto da parte di Zuckerberg di una lunga serie di domini meta.estensione.

In attesa di novità da parte della società di Menlo Park, approfittiamo per fare una rassegna di quei social network che non ce l’hanno fatta. Vedremo infatti una sorta di top5 delle piattaforme che, negli anni, hanno riscosso anche discreto successo ma senza lieto fine.

Friendster

Nata a Mountain View e lanciata nel lontano 2002, questa piattaforma doveva inizialmente servire per gli stessi identici scopi di Facebook come creare una rete di amici, condividere contenuti ed eventi e scoprire trend emergenti. Questo social network ha avuto un discreto successo in una piccola parte del mondo, arrivando ad una novantina di iscritti e sessanta milioni di visite al mese. Proprio in base alla scarsa diffusione a livello globale (basti pensare che il traffico proveniva principalmente da paesi asiatici come Filippine, Indonesia e Malasia), nel 2011 gli sviluppatori hanno provato a cambiare target diventando una sorta di portale per il gaming online. Dopo pochi anni però, anche a causa dell’ormai consolidato successo di Facebook, il social entrò in pausa per chiudere definitivamente nel 2018. Un merito di Friendster è stato quello di anticipare di due anni l’uscita della piattaforma di Zuckerberg, ma il grosso demerito è invece quello di non essere riuscito, anche per scelte errate di business, a decollare e superare la concorrenza.

Yik Yak

Lanciata nel 2014 da due studenti del South Carolina, inizialmente questa App doveva essere una sorta di chat anonima per spedire messaggi nelle vicinanze. Nell’immediato Yik Yak riscosse molto successo arrivando a valere 400 milioni di dollari, ma proprio la sua anonimità si è rivelata col tempo un grosso punto a sfavore. Questo perché destò molte preoccupazioni alle autorità in quanto la piattaforma poteva agevolare l’organizzazione di atti di violenza o di cyberbullismo. Già al tempo il mondo dei social era intriso di situazioni al limite della legalità o al di sopra del livello di guardia, pertanto Yik Yak pagò le conseguenze in meno di un anno perdendo molti utenti e chiudendo nel 2017. È di pochi giorni fa la notizia di una riedizione dell’App promettendo un maggiore controllo sulle tematiche che in passato hanno causato problemi. Staremo a vedere se ci sarà un altro epilogo o meno.

Vine

Prima piattaforma a sperimentare i video brevi, che nei giorni attuali sembrano aver trovato maggior successo, Vine è stata creata nel 2013 con lo scopo di condividere tali contenuti sulle allora maggiori piattaforme: Facebook e Twitter. La causa del suo insuccesso forse risiede nell’aver anticipato troppo i tempi. Vine, prima del suo lancio, venne acquistata da Twitter Inc. e diventò in poco tempo una delle app di maggior successo. Tuttavia l’entusiasmo durò poco, perché nel giro di poco tempo a causa dell’avvento di Snapchat, sviluppato sicuramente in modo migliore, e della discesa di utenti Twitter.
Nel 2016, proprio per questi motivi, Twitter è stata obbligata a chiudere per sempre Vine come piattaforma e ribattezzarla, nel 2018, Vine Camera.

Google Plus

Errare è umano, perseverare è diabolico. Questo aforisma rispecchia benissimo ciò che è stato Google+ per la nota azienda di Mountain View in materia di piattaforme social: un fallimento, l’ennesimo. Nato nel lontano 2011, Google+ si proponeva come qualcosa di diverso rispetto al più noto e rodato Facebook, in quanto consentiva di organizzare quelli che poi sono diventati gli hangouts ovvero delle vecchie versioni delle moderne videoconferenze. Una particolarità di questa piattaforma erano le cosiddette “cerchie”, che gli utenti potevano creare per suddividere in gruppi i loro contatti (amici, famiglia, lavoro, ecc). La dimostrazione di non avere nulla in più rispetto ai social già presenti è stata la motivazione principale della caduta di Google+, chiuso in fretta e furia nel 2019 dopo aver anche scoperto alcune vulnerabilità.
Più che un social, Google+ sembrava una sorta di strumento di controllo delle identità, anche per via delle suddette cerchie, un modo molto blando per poter fronteggiare un colosso affermato come Facebook.

MySpace

Sebbene esista ancora, MySpace non risulta più essere una minaccia per i grandi competitor del mercato dei social network. Nato nel 2003, un anno prima di Facebook, questa piattaforma si è fatta valere principalmente per la possibilità di caricare file Mp3 e lanciare di fatto nuovi artisti che lì venivano notati. Dopo essere diventato il social di maggior successo nel 2006, arrivò a perdere milioni e milioni di utenti nell’arco di un solo mese nel 2011, prima del suo definitivo declino. La sua portata è stata grandissima anche per via della sua lungimiranza nel creare un’era basata sul digital marketing.
Dopo questa caduta sempre più rovinosa, nel 2019 gli sviluppatori hanno avuto la malaugurata idea di cancellare tutti i contenuti musicali caricati tra il 2003 ed il 2015, praticamente ciò che ha reso MySpace un portale popolare.
È proprio per questo che, sebbene sia ancora attivo ed improntato apparentemente anche sulla musica, MySpace è da considerarsi a tutti gli effetti una piattaforma finita o che ha alzato bandiera bianca contro i big player del mercato social.

 

Fonti: 1, 2