Pensavamo, anche leggendo i vari fatti di cronaca, che dalla fine del periodo pandemico la tendenza al ricorso allo Smart Working per aziende private ed enti pubblici fosse in netta diminuzione. Non sono mancati i casi a suffragio della tesi, se pensiamo anche alle realtà più importanti a livello globale come Amazon, che hanno richiamato in ufficio moltissimi dipendenti dopo un periodo di lavoro da remoto che andava avanti dal 2020.
Ebbene, nonostante questa sensazione, l’Osservatorio del Politecnico di Milano sullo Smart Working ha redatto un nuovo report riguardo al lavoro agile ed i suoi simili nel quale si può chiaramente vedere come, tralasciando l’anno 2020, il ricorso a questo sistema lavorativo è sostanzialmente stabile. Attualmente infatti sono 3,55 i milioni di italiani che lavorano da casa, e questo accade nonostante la decadenza di tutte le normative che vennero emanate durante la pandemia. Nonostante un calo dello 0,8% rispetto al 2023, giustificato più che altro dai numeri calanti delle PMI (da 570mila a 520mila), le grandi aziende continuano ad dare maggior possibilità di Smart Working ai propri dipendenti dell’1,6%. Sono invece stabili i numeri riferiti agli enti pubblici, che calano solo di 15000 unità circa, e delle microimprese, che invece calano di 5000 unità.
Molto interessante invece la stima fatta dall’Osservatorio per l’anno prossimo, il 2025, quando secondo gli esperti i numeri cresceranno in modo maggiore e supereranno quelli del 2022, arrivando ad oltre 3,750 milioni di lavoratori da remoto. Come già visto, è chiaro che il peso di questa crescita sarà maggiormente dovuto ai numeri delle grandi aziende, che copriranno il 35% del totale, seguite dalle PA con il 23% ed il 9% delle PMI. A livello di numeri provenienti da inchieste dell’Osservatorio, grandi aziende e pubbliche amministrazioni prevedono, rispettivamente al 35% ed al 43%, un aumento dei lavoratori impegnati da remoto, mentre per le Piccole e Medie Imprese questa percentuale arriva a malapena all’8%.
Ma quanto si lavora da casa in Italia attualmente? L’Osservatorio quantifica una media di 9 giorni al mese per le grosse aziende, 7 al mese per gli enti pubblici e 6,6 per le piccole e medie imprese. L’idea che i lavoratori si sono fatti dello Smart Working è, invece, particolarmente netta, visto che quasi 3/4 di essi avrebbe rimostranze nel momento in cui la loro azienda decidesse di eliminarlo. Più specificatamente, oltre un quarto proverebbe a cambiare lavoro, quasi la metà invece farebbe in modo di far cambiare decisioni in merito al proprio datore di lavoro, mentre le contromisure in caso di decisione irrevocabile potrebbero essere un aumento del salario del 20% o un aumento della flessibilità oraria. Abbiamo parlato, però, anche di coloro che sono rientrati in ufficio dopo un lungo periodo di lavoro agile, ed è solo il 19% di questo gruppo ad essere tornato per scelta personale, mentre il 23% svolge un mestiere che non si può fare da casa ed infine nel 58% la decisione è stata presa dai vertici.
Quest’ultimo punto è stato analizzato in modo maggiormente dettagliato dall’Osservatorio, che nella sua relazione spiega come la metà delle grandi imprese veda i propri manager come favorevoli all’introduzione o il mantenimento dello Smart Working, utilizzando anche un approccio proattivo con altri collaboratori per farlo, mentre a fare da anello debole sono le PA e le piccole e medie imprese, nelle quali questo atteggiamento è molto meno diffuso, con percentuali che sono rispettivamente del 35% e del 27%. Addirittura, in più del 33% delle PMI si pensa che i leader abbiano proprio un certo scetticismo verso il lavoro da remoto, approvandolo solo in circostanze particolari.
Avere un’azienda o un posto di lavoro confacente ad un regime di Smart Working prevede anche una grossa revisione degli spazi, con uffici adatti ed un ripensamento totale degli ambienti in senso maggiormente flessibile e riconfigurabile secondo le necessità. Questo approccio è sicuramente presente nelle grandi imprese, il 75% delle quali risponde positivamente a tali necessità, mentre restano ancora indietro, seppur con buoni risultati, le PA (49%) e le PMI (34%).
Abbiamo accennato prima alla flessibilità degli orari di lavoro, attualmente una delle condizioni più dibattute nel mondo del lavoro proprio nell’ottica di un rientro in ufficio ma anche nel caso di lavoro da remoto continuativo. La cosiddetta settimana corta è stata adottata attualmente da meno di una azienda su 10 di media in Italia, ma c’è anche da evidenziare un discreto interesse da parte delle aziende. Ci sono vari modelli da seguire, come la settimana di 4 giorni o i venerdì ad orario ridotto, magari solo in alcuni momenti dell’anno. Esistono poi alcune prassi per il ripensamento degli orari per determinate figure. Le motivazioni alla base di questi ripensamenti vanno, principalmente, dal favorire un corretto connubio tra vita privata e lavorativa, maggior soddisfazione e maggior attrattività dell’azienda per i lavoratori.
Dopo questa rapida analisi dei risultati dell’inchiesta dell’Osservatorio del Politecnico non resta che aspettare per vedere se i numeri previsti per il 2025 si concretizzeranno o se la crescita sarà più contenuta. Nel primo caso, sicuramente, la tendenza segnerà un importante cambio di passo che sembrava insperato dopo il boom del 2020, mentre nel secondo caso vedremo cos’è che frena questa crescita e come le aziende intendono superare i problemi.
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