Smart Working e Telelavoro: l’impatto sulle PA

L’arrivo della pandemia, come ribadito più volte, ha costituito una grossissima spinta alla digitalizzazione di tutto il paese. Se da una parte le aziende private che ne hanno avuto la possibilità hanno implementato soluzioni per garantire il lavoro da casa ai propri dipendenti, così anche il settore pubblico ha proposto soluzioni di Smart Working e Telelavoro una volta impensabili.

Formez PA, un’associazione pubblica che si occupa di formazione ed assistenza all’ammodernamento delle Pubbliche Amministrazioni, ha vagliato oltre 1500 PA per analizzare la loro digitalizzazione dall’avvento del Covid-19.

Tale monitoraggio è stato diviso in due fasi. La prima va da gennaio ad aprile 2020, coprendo quindi buona parte della fase 1, mentre la seconda è quella tra maggio e settembre.

A gennaio 2020 la percentuale di lavoratori da remoto nelle Pubbliche Amministrazioni era pari all’1,7%, questo numero è poi arrivato al 56% di marzo e poi al massimo valore raggiunto quest’anno: il 64% di giugno. A settembre, dopo il momentaneo abbassamento della necessità, si è tornati ad un valore pari al 46%.

Complessivamente, durante il 2020 l’86% delle PA ha fatto ricorso allo Smart Working ed al Telelavoro, specialmente le istituzioni con più di 10 dipendenti, che superano il 90%.

Formez PA ha suddiviso in quattro i tipi di amministrazione analizzati.

  • PA Centrale
  • PA Locale
  • Ricerca ed Università
  • Sanità

Di questi, solo la sanità per ovvie ragioni è rimasta a quote molto basse di Smart Working, mentre tra le altre si sono toccate punte del 51% (PA Locale) e sopra all’80% (PA Centrale e Ricerca ed Università).

A livello territoriale, è interessante vedere come il lavoro agile sia stato più utilizzato nelle regioni centrali. Tenendo da parte il dato del Lazio, avvantaggiato dalla maggior presenza di Pubbliche Amministrazioni locali, tra le regioni col maggior numero di personale pubblico in Smart Working è possibile menzionare Sardegna, Toscana, Liguria, Umbria e Marche.

Quanto alla componente sociologica, è possibile affermare che le donne sono state le maggiori beneficiarie del lavoro da remoto. Seppur inizialmente la forbice fosse molto ristretta, con il proseguire del periodo di pandemia quest’ultima si è allargata arrivando ad un massimo di 66% contro il 60% degli uomini (dato di maggio).

Dal punto di vista della fornitura o meno di device e strumenti da parte delle PA, il dato pende, da nord a sud, per l’utilizzo degli strumenti personali. Solo il 29% delle pubbliche amministrazioni, infatti, è riuscita a dare ai propri dipendenti un PC da utilizzare per il lavoro da remoto (dato raggiunto a settembre 2020). Le differenze, però, esistono anche a livello territoriale, con il 35% dei dipendenti le PA del nord Italia che hanno potuto usufruire di un device del proprio ufficio, mentre a sud le percentuali si abbassano in modo deciso.

La crescita di Smart Working e Telelavoro nelle Amministrazioni Pubbliche ha scaturito anche un aumento delle competenze digitali dei dipendenti. Come si vede dal report, attualmente l’87% del personale pubblico utilizza la Firma Digitale e l’83% ha potuto avere accesso a banche dati e database online. Risultano un po’ più indietro, invece, la digitalizzazione dei procedimenti (60%) e soprattutto l’erogazione di servizi online da parte del settore pubblico, attualmente ferma al 43%. Il nostro paese, infine, dovrà necessariamente accelerare dal punto di vista dell’interoperabilità dei comparti, dell’utilizzo di PEC per uffici e soprattutto sugli Open Data.

Dal punto di vista dei vantaggi, inoltre, è necessario inserire la produttività, che appare migliorata e, dal lato delle PA, il risparmio economico. Circa la metà delle realtà intervistate ha spiegato come la chiusura degli uffici abbia fatto risparmiare su materiali ed utenze.

 

Fonti: 1, 2