Nel 2015 Microsoft ha avviato la prima fase dell’avveniristico Project Natick, progetto che ha l’ambizioso obiettivo di “costruire” data center (dc) perfettamente operativi ed autonomi sul fondo del mare. La parola costruire è accompagnata dalle virgolette perché il dc, prima di essere collocato nelle acque della California, è stato assemblato sulla terraferma: per la precisione si tratta di container studiati per sopportare la pressione degli ambienti acquatici e fornire al contempo una refrigerazione di alto livello – grazie al fatto di essere a contatto con l’acqua marina.
Tra i principali vantaggi dei dc sottomarini il minor tempo necessario alla loro costruzione (inclusi permessi etc.), una migliore dissipazione dei componenti ed una vicinanza ai potenziali clienti con latenze molto basse – più della metà della popolazione mondiale, afferma Microsoft, vive entro 200 km dalla costa.
A distanza di tre anni Redmond ha deciso di passare alla seconda fase cambiando location, siamo infatti nei pressi delle isole Orcadi (Scozia), e costruendo un container molto più complesso: sebbene le dimensioni siano più o meno le stesse del precedente prototipo (12 metri), il numero di server è stato incrementato notevolmente (863 server in 12 rack) e la durata dell’immersione passerà da 105 giorni a diversi anni (nell’ottica di raccogliere il maggior numero possibile di dati).
In occasione del nuovo deploy sottomarino, Data Center Knowledge ha pubblicato numerose informazioni sulla seconda fase del progetto e gli obiettivi futuri. Vi proponiamo di seguito, in traduzione, una selezione delle parti più interessanti. L’articolo originale è raggiungibile dalla sezione fonti a fondo pagina. Buona lettura.
Perché [collocare un data center sul fondo dell’oceano] invece di costruirne uno sulla terraferma?
[…]Project Natick [è un progetto] che insegue delle idee che hanno “il potenziale per trasformare il core del business Microsoft e dell’industria”. Potrebbe come non potrebbe funzionare – il punto sta nel testare l’idea – [ma in caso di successo rappresenterebbe] un enorme cambio di paradigma del modo in cui le compagnie concepiscono le infrastrutture di computing su larga scala. “Tutto quel che sarà appreso dal deploy – dalle operazioni dell’anno prossimo e dall’eventuale recupero [del container] – consentirà ai ricercatori di [rapportare le proprie aspettative con la gestione dei data center sottomarini nel mondo reale]”.
E’ un “progetto scientifico” o si tratta di veri computer che supportano [l’esecuzione] di applicazioni reali?
Project Natick è un “progetto di ricerca applicato” ma potrebbe eseguire eventualmente alcuni workload cloud computing “reali”. […] “Come una nuova macchina [ci sono diversi test da condurre]. Quando saremo pronti, coinvolgeremo [alcuni] dei nostri clienti e gli daremo le chiavi, permettendogli di [effettuare dei deploy nei nostri sistemi]”.
Questa fase di Project Natick come si differenzia dalla precedente?
La prima fase era una proof of concept per verificare che l’idea fosse fattibile. La seconda fase [ha lo scopo] di verificarne la praticità in termini economici, logistici e di sostenibilità ambientale.
Il secondo [container] è molto più largo del primo, che era un cilindro verticale con un solo rack. Nel nuovo data center sottomarino da 12 metri [circa] ci sono 864 server e 12 rack, inclusa tutta la strumentazione necessaria per la refrigerazione.
Il primo [container] ha operato sott’acqua per soli 105 giorni. Il secondo è progettato per restare sul fondo dell’oceano per anni. E’ un modulo in scala completa che si avvicina [all’idea di come sarebbero i data center Microsoft se il progetto avesse successo e la compagnia iniziasse ad effettuare i deploy come parte integrante della propria piattaforma cloud a livello globale”.
E se si rompe qualcosa all’interno [del container]?
Beh, la speranza è che niente si rompa – almeno per qualche tempo. L’ultimo modulo Natick è progettato [per funzionare senza manutenzione] fino a 5 anni, sebbene la compagnia abbia in programma di monitorare [il dc] e collezionare dati […] nei prossimi 12 mesi. […] Nel caso in cui si verificasse qualche problema prima del previsto, c’è la possibilità che [il container] sia recuperato in anticipo per risolvere il problema o per lavorare con tutti i dati raccolti fino a quel momento.
Non è più economico e meno rischioso collocare costosi computer in edifici sulla terraferma?
Certo, ma vi sono diversi vantaggi dall’immersione dei dc. Secondo Microsoft, è più facile ottenere i permessi per il deploy di data center sottomarini piuttosto che per la costruzione di enormi strutture in aree densamente popolate.
C’è inoltre la riduzione dei costi energetici. Visto che un dc sottomarino può essere raffreddato dall’acqua marina, non necessita di refrigeratori meccanici, che sono tra i maggiori consumatori di energia in un data center tradizionale.
In che misura il deploy sott’acqua [complica la logistica e le operazioni di deploy di un data center]?
[Le complica notevolmente]. […] La prima [complicazione riguarda la costruzione del modulo]. [Sebbene esistano diverse aziende specializzate nella creazione di data center in container, lo stesso non si può dire per quelle specializzate nella loro immersione]. [Bisogna poi considerare la fase di trasporto per raggiungere il luogo del deploy]. […] La parte più difficile è stata [calare in mare il container], metro per metro, […] [fino a raggiungere i 35 metri di profondità]. Ha richiesto 10 verricelli, una gru, [una struttura galleggiante per lo spostamento della gru] ed un veicolo controllato a distanza che accompagnasse il data center [nella discesa].
Non è dannoso per [l’ecosistema sottomarino]?
[…] I ricercatori Microsoft affermano che il calore [prodotto dai server] non è abbastanza [da rappresentare] un motivo di preoccupazione. I risultati della prima fase […] hanno mostrato che il calore [del container] si miscela rapidamente con l’acqua fredda e viene dissipato dalle correnti.
[Microsoft ha inoltre progettato i data center in modo da incoraggiare l’occupazione della superficie esterna di questi ultimi da parte della fauna e flora marina, come avvenuto nella prima fase]. [Ciò] rappresenta tuttavia un problema di design per i dc sottomarini poiché [microorganismi, alghe ed altro] possono ostruire il passaggio dell’acqua in entrata ed uscita [dall’impianto di refrigerazione].
Fonti: 1 (articolo originale), 2 (blog Microsoft).