La chiusura del progetto Edge ed il passaggio a Chromium (browser libero da cui deriva Chrome) da parte di Microsoft è un evento passato probabilmente in sordina agli occhi degli internauti. Edge, per chi non lo avesse mai sentito nominare, è il diretto successore di Internet Explorer che Redmond rilasciò in occasione di un altro importante debutto, quello dell’OS Windows 10 avvenuto in data 25 luglio 2015.
Da quel giorno sono passati più di tre anni e, dati alla mano, è chiaro come il progetto Edge, pur sfruttando l’ampia user base garantita da Win10 (non è possibile escluderlo dall’installazione del sistema), si sia rivelato un fallimento. A fronte di un rinnovato motore di rendering, lodato anche dagli addetti ai lavori e premiato dai siti di testing, il browser non ha infatti saputo intercettare l’interesse dell’utenza, che è rimasta fedele a Chrome – l’attuale leader del mercato.
Intaccare la leadership di Mountain View è complesso: la perfetta integrazione tra i servizi Google e Chrome, che può inoltre sfruttare la popolarità di Android (sempre appartenente a Google e presente su miliardi di device), appare quasi impossibile da raggiungere. E con il passaggio di Microsoft al “nemico” alcuni addetti ai lavori pensano che il controllo del Web sia sempre di più nelle mani di un unico soggetto, Google appunto. Il contributo pubblicato da Peter Bright su Ars Technica ci offre interessanti spunti di riflessione, ripercorriamone le parti più significative.
Accentramento
In prima battuta l’editorialista sottolinea il predominio di Chrome in ambito desktop e mobile:
Il solo Chrome rappresenta il 72% del mercato browser desktop. Edge è al 4%. Opera, basata su Chromium, ha un altro 2%. Il non più supportato Internet Explorer ha il 5% e Safari – disponibile solo su macOS – ha un 5%. Quando la transizione di Microsoft sarà completa, ci troveremo davanti [ad uno scenario] in cui Chrome e [suoi derivati] avranno l’80% circa del mercato con il solo Firefox, al 9%, attivamente sviluppato e disponibile su più piattaforme.
[In ambito mobile, grazie ad iPhone, abbiamo una forte presenza di Safari ma il trend generale non è dissimile]. Chrome è al 53% più un altro 6% di Samsung Internet, un 5% di Opera ed un 2% del browser Android. Safari è al 22% [ed UC Browser al 9%]. Si tratta di due terzi del mercato mobile che vanno a Chrome e derivati.
Se non si tratta di un monopolio poco ci manca, sottolinea Peter. Certo, nel momento di massimo successo Internet Explorer, in particolare la versione 6, raggiunse l’80% di market share (ed il 95% sommando tutte le altre versioni) ma al giorno d’oggi il ruolo (e l’influenza) del Web sono mutati rispetto ai primi anni 2000, senza dimenticare che allora il mondo mobile non era minimamente paragonabile a quello attuale – il primo vero smartphone, iPhone di Steve Jobs, arriverà solo nel 2007 mentre per il boom di Android dovranno passare ancora molti anni.
Influenza
L’influenza che la compagnia esercita ora è superiore a quella della Microsoft dei “tempi d’oro”, prosegue. E vi sono già alcuni precedenti in cui Google ha tentato di sfruttare la propria posizione per imporre all’industria alcune tecnologie proprietarie:
Nel 2009 Google introdusse SPDY, [alternativa] “proprietaria” a HTTP che si occupava di risolvere, a detta di Google, alcuni problemi prestazionali del protocollo HTTP/1.1. [Il giudizio della compagnia non era errato ma SPDY era una sorta di atto unilaterale […]. SPDY fu adottato da altri browser [e si diffuse su larga scala].
SPDY fu usato di conseguenza come base per HTTP/2, una profonda revisione del protocollo sviluppato dall’IETF. […] La stessa storia si ripete con HTTP/3. Nel 2012 [la compagnia ha presentato QUIC e sempre per sopperire ad alcune problematica di HTTP/1.1 e 2.] QUIC è [poi] divenuto [il pilastro del processo di sviluppo di HTTP portato avanti dall’IETF, HTTP/3 utilizza un derivato di QUIC].
Ad aggravare il giudizio su Google, continua l’editorialista, anche una serie di discutibili azioni intraprese dalla compagnia e volte ad ostacolare i competitor come alcune modifiche al celebre YouTube, sito di streaming video acquisito nel 2006 per oltre 1 miliardo di dollari – dichiarazione basata sulle affermazioni di un ex sviluppatore del browser Edge:
Per nessun motivo ragionevole, Google ha [introdotto] un elemento HTML vuoto che si sovrappone ad ogni video. Questo elemento disattiva il più veloce metodo di decoding [via accelerazione hardware] utilizzato da Edge. [Peggiora le prestazioni della durata della batteria in Edge portandole al di sotto di quelle di Chrome].
Un secondo esempio riguarda il mantenimento, sempre su YouTube, della funzionalità HTML imports che, essendo supportata da Chrome ma non dai competitor, avvantaggia nuovamente quest’ultimo dimezzando i tempi di caricamento dei video.
Una scelta sbagliata?
Microsoft ha affermato di voler garantire la massima compatibilità con Chrome ma allo stesso tempo di puntare ad una sua personale visione del rendering engine Chromium, una scelta che secondo Peter la pone in una posizione di “sudditanza” rispetto a Google:
[Microsoft non potrà nemmeno creare un fork di Chromium] discostandosi dal percorso di sviluppo principale perché così facendo metterebbe a rischio la compatibilità [del suo browser] aumentando i costi e la complessità dell’incorporamento delle modifiche attuate da Google. Ciò significa che nel caso in cui Google [decida qualcosa di non gradito a Microsoft, quest’ultima non potrà fare altro che prendere atto delle direttive].
A completare la panoramica la questione correlata al testing del codice. Peter sostiene che la presenza di più soluzioni sul mercato imponeva una certa “disciplina” agli sviluppatori migliorando le procedure di affinamento e pulizia del codice in ottica multi-browser:
[il secondo browser da testare] rivela di solito dependency involontarie su un particolare behavior del [browser principale, e ciò richiede numerose modifiche per rimanere il più vicino possibile agli standard]. Ma aggiungere [un terzo browser alla procedura] è meno costoso, ed un quarto ancora meno. Passare da un browser ad altri due significa che la parte peggiore del codice [e le stranezze correlate alle dependency] dovranno essere [per forza] risolte.
La dipartita di Edge complica la situazione rendendo più difficile e costoso testare il codice sull’ultimo “superstite” del mercato, ovvero Firefox. Peter, che condivide i timori espressi dallo stesso CEO di Mozilla (Chris Beard), boccia completamente la scelta di Microsoft: oltre a marginalizzare il ruolo di Firefox trasforma Google nell’azionista di maggioranza della Rete, un ruolo che visti i trascorsi non dovrebbe essere affidato a Mountain View, conclude.
Fonte: 1.