Linux è il sistema operativo ideato nel 1991 dallo studente universitario Linus Torvalds e divenuto ormai sinonimo di “open source“. Come sia riuscito a diventare uno degli OS (incluse varianti) più popolari dell’industria IT è stato oggetto di un recente approfondimento di Data Center Knowledge che riprendiamo nel post odierno.
La scalata di Linux nel mondo dei data center e più in generale in ambito enterprise inizia quando, nel luglio del 1998, Oracle si unisce alla schiera di supporter e “tester” del sistema operativo Red Hat Enterprise. Il numero di aziende coinvolte era abbastanza nutrito (Netscape, Informix, Borland’s Interbase, Computer Associates, Software AG) ma nessuna di queste ricopriva un ruolo di primaria importanza nei rispettivi segmenti di mercato – si parla di software, i brand citati avevano l’obiettivo comune di contrastare il predominio Microsoft.
“Quando Oracle iniziò a supportare i propri database su Red Hat Linux, per l’industria quello fu il segnale che si poteva affidare i propri dati finanziari ad un sistema operativo Linux” ricorda Mark Hinkle (vice president reparto marketing della Fondazione Linux).
Un’occasione per Linux
“[Il boom] di Internet e di tecnologie connesse a reti non private [rappresentò un’opportunità per Linux]. Il Web [HTTP], le email, DNS divennero opportunità per Linux, il web server Apache […]. [Ci fu una crescita spaventosa proprio perchè la domanda di questi servizi balzò alle stelle] racconta Hinkle.
In questa nuova fase Linux viene definito come un “facilitator“, un elemento che consente alle imprese di utilizzare con più facilità il proprio set di servizi – una stack flessibile ed adattabile. Un tecnico era così in grado di allestire un server, installare Linux, il proprio set di servizi, effettuare il deploy. Fu un cambiamento epocale, sottolinea il redattore, perchè le organizzazioni potevano finalmente costruire le proprie infrastrutture dove e quando volevano, in base alle necessità del momento.
Tornando invece alla mossa di Oracle ed all’accettazione di Linux, c’è chi avanza una particolare rilettura dei fatti che hanno portato il noto brand a “promuovere” l’OS open source. Secondo Dirk Hohndel (Chief Open Source Officer presso VMware ma in passato coinvolto direttamente nello sviluppo del kernel Linux) sono stati i servizi open source e DNS ad accelerare la messa in atto della strategia Oracle.
Le alternative open rappresentavano una concreta minaccia per i pacchetti di produttività ed i database (come quelli Oracle) enterprise: il loro obiettivo non era tuttavia quello di sostituirsi ai desktop, come pensavano diversi addetti a lavori in quel periodo; li stavano rendendo semplicemente irrilevanti. Tenendo conto del quadro appena delineato, la mossa di Oracle appare allora molto più chiara. Il “peso” del brand in questione influenzò l’orientamento di CIO e manager IT che iniziarono finalmente a considerare Linux.
L’importanza di Git e l’errore di Microsoft
“Se non ci fossero stati i primi movimenti [pro software libero] ed il movimento open source nella seconda metà degli anni ’90, Linux non sarebbe stato in grado di cambiare da solo il mondo. […] Open source è una metodologia di sviluppo. E’ eccezionale [nell’incentivare la collaborazione tra più persone, nel creare innovazione e condivisione di API. Ma ha attualmente un [“curriculum scarso” in quanto a creazione di software enterprise e pronto ad entrare in produzione]” aggiunge Hohndel.
Ed è proprio alla metodologia adottata nel mondo open source che Linus Torvalds si ricollega quando parla di un altro cruciale tassello per l’affermazione dell’open source e di Linux in ambito enterprise: Git.
“Paragono spesso lo sviluppo di softare ai processi biologici. Si tratta di evoluzione e non di design intelligente. Io [ci ho a che fare ogni giorno] e posso dire che non si tratta assolutamente di design intelligente. […] Tutti i momenti più stressanti [della mia carriera da sviluppatore] sono legati ai processi. E non al codice. Quando il codice non funziona, [la situazione può essere inaspettatamente emozionante]. Anzi divertente! [Certo, sbattere la testa contro un muro per settimane può essere frustrante ma quando vieni a capo del problema la soddisfazione è grande].”
Git automatizzò varie procedure facilitando la partecipazione di tutte le persone interessate ad un determinato progetto open. Git diede vita ad un ecosistema in cui il cliente divenne parte del processo evolutivo (per usare le parole di Linus) e non semplice benefattore. In questo nuovo ecosistema, osserva l’editorialista, sarebbero nati successivamente progetti come Docker, CoreOS, Kubernetes, Mesosphere DC/OS: se Linux è il progenitore di Git, è quest’ultimo che ha portato il noto OS alla conquista dei data center.
Quando l’open source incontrò la virtualizzazione, spiega l’editorialista, si creò una sorta di alchimia che cambiò radicalmente il mondo IT: le infrastrutture divennero virtuali ed i workload “portatili”. Era nata una nuova e rivoluzionaria tecnologia: il cloud computing. La virtualizzazione scompaginò i piani di Microsoft, fino a quel momento punto di riferimento del settore enterprise. La piattaforma Microsoft era infatti indispensabile per l’esecuzione di applicazioni e database; a sua volta Redmond era legata a doppio filo con i processori. Quando la catena che legava database, sistemi operativi e processori fu spezzata dalla virtualizzazione, l’industria restò comunque in attesa della risposta Microsoft – che non arrivò…
Nel 2007 l’ecosistema Windows Server rallentò così la propria evoluzione, incapace di offrire funzionalità paragonabili alla “live migration” VMware ed ostacolato dall’inspiegabile decisione dei vertici Microsoft di posticipare tutte le deadline precedente stabilite – riguardavano proprio la presentazione di soluzioni legate alla virtualizzazione. Sarebbero stati necessari diversi anni a Microsoft per recuperare parte dello svantaggio accumulato. Oggi è possibile dire che Redmond e Windows Server sono sulla buona strada, anche se la piattaforma può aspirare ad essere “uno dei tanti” componenti chiave dell’ecosistema IT, non l’unico.
Fonte: 1