La popolarità della tecnologia blockchain è cresciuta di pari passo con quella delle criptovalute. Molti ricorderanno il successo del Bitcoin (BC) e delle monete virtuali che, nel corso del 2017, attirarono non solo l’attenzione dei media tradizionali (e ciò suggerisce la portata del fenomeno) ma causarono un piccolo terremoto nel mondo della finanza e della tecnologia: il dibattito circa l’affidabilità e sostenibilità di un sistema economico basato su monete immateriali e “coniate” dalla collettività alimentò per mesi il dibattito tra gli addetti ai lavori; nel mentre il valore dei Bitcoin saliva alle stelle (a dicembre 1 BC veniva scambiato ad oltre 18.000 $) così come la richiesta di componenti hardware (soprattutto schede video) destinati all’assemblaggio di sistemi pensati per il mining, procedura attraverso cui è possibile creare valuta virtuale risolvendo complessi calcoli matematici. Ogni giorno nasceva una nuova criptovaluta e non si sentiva quasi parlare d’altro.
Dando ragione a coloro che avevano bollato il fenomeno come temporaneo o l’ennesima bolla speculativa pronta ad esplodere, le criptovalute persero all’improvviso lo slancio – ed il valore, a febbraio 2018 1 BC vale tra i 6000-8000$ – accumulato nei 24 mesi precedenti finendo ben presto nel dimenticatoio o quasi. Lo stesso non si può invece dire per la blockchain, tecnologia fondamentale perché in grado di assicurare la legittimità delle operazioni (se si parla di criptovalute) o dei dati scambiati nel sistema avvalendosi del contributo di tutti i suoi membri – nel caso dei Bitcoin coloro che creavano la criptovaluta, effettuavano un pagamento o ricevevano valuta sul proprio borsellino virtuale diventavano allo stesso tempo garanti delle operazioni appena elencate.
Le indubbie qualità della blockchain hanno suscitato ovviamente l’interesse di più di un’azienda e delle startup, che hanno subito iniziato a pensare ad inediti scenari di utilizzo, sicurezza online in primis.
Gestione decentralizzata delle identità digitali
L’ambito in cui la tecnologia può avere un impatto rivoluzionario è quello inerente alle procedure di autenticazione e protezione dei dati. L’idea dei ricercatori, non dissimile dall’ambizioso progetto di Berners-Lee, è di creare una sorta di portafoglio digitale in cui conservare tutte le informazioni personali e finanziarie da comunicare all’interlocutore di turno (banca, azienda etc.) solo previa autorizzazione dell’utente.
La sicurezza dei dati sarà garantita dalla crittografia impiegata dalla blockchain distributed ledger tecnology (DLT) e da un sistema di verifica delle identità digitali, come spiega il portale Computer World riportando le affermazioni di un analista Gartner e di un addetto ai lavori della CULedger (organizzazione con sede a Denver che fornisce servizi back-office ad una rete di banche di credito cooperativo):
[Immaginate] una compagnia in grado di verificare il background lavorativo di un nuovo impiegato e di assumerlo in un singolo clic, o un [potenziale] cliente di una banca in grado di verificare [l’attendibilità di un istituto in materia di prestiti] ma senza [rivelare informazioni personali]. […] Questo è il potenziale della blockchain per la gestione decentralizzata delle identità.
[…]
Un altro [vantaggio derivante dall’archiviazione di identità digitali in un sistema blockchain distribuito e cifrato è] l’eliminazione degli “honey pot” o repository centrali per la gestione delle informazioni degli utenti, [da sempre bersaglio primario degli hacker].
Ma all’atto pratico come si traduce quanto appena detto?
se un [acquirente vuole noleggiare un’auto da un concessionario può concedere a quest’ultimo il permesso via chiave pubblica [in grado di confermare] che lui o lei abbiano [una disponibilità sufficiente a coprire la spesa] – ma senza svelare un importo specifico. Quindi, se il concessionario vuole assicurarsi che l’acquirente guadagni più di 50.000 dollari all’anno, la blockchain confermerà [questa informazione] (e non che guadagna ogni anno 72.587 dollari).
Dallo scorso ottobre alcune banche di credito statunitensi hanno avviato un programma di sperimentazione arrivando a creare fino ad 1 milione di identità digitali (dette MyCUID). Il lancio della piattaforma blockchain su larga scala è previsto per la seconda metà del 2019. Nei mesi di monitoraggio intercorsi, afferma l’addetto di CULedger, è stato possibile apprezzare uno snellimento delle procedure di autenticazione. Rispetto al metodo classico, l’identificazione via telefono mediante una ventina di domande e l’impiego di apposito personale del centralino, il MyCUID ha abbassato le tempistiche da 60/90 secondi a 5 secondi:
ogni volta che il cliente utilizza il MyCUID per contattare la banca [o viceversa] il loro smartphone/tablet mostra un pop-up di dialogo [in cui si richiede di verificare la propria identità e autorizzare l’avvio della transazione]. “Cliccare OK o NON OK. Non è così diverso da quello che avviene con altre app del cellulare. […] Tutto si basa sui canali cifrati che abbiamo creato […]. Stai creando un canale di comunicazione sicuro a due vie. Quindi non solo l’istituto [ha la certezza di parlare con te] ma anche tu hai la certezza che è il tuo istituto ad averti contattato”.
Per il futuro la CULedger conta di potenziare ulteriormente il sistema andando a creare il proprio production customer permission network, obiettivo ambizioso che richiederò tuttavia il passaggio a piattaforme di livello enterprise quali Hyperledger Fabric (IBM) o Swirlds (Hedera Foundation).
A raffreddare in parte l’entusiasmo dei pionieri della blockchain e l’analista e vice presidente Gartner Avivah Litan. Le potenzialità di quest’ultima sono indiscutibili ma l’adozione su larga scala è frenata da alcuni ostacoli, primo fra tutti l’integrazione con i vecchi database in cui sono archiviate le identità di clienti e dipendenti:
[…] un sistema d’identità decentralizzato richiede inoltre un vibrante ecosistema, […], strumenti in grado di supportare funzionalità [intuitive] ed una buona esperienza di sviluppo al fine di supportare [la diffusione della tecnologia].
Trattandosi di un settore embrionale non sorprende allora che solo il 3.3% delle compagnie a livello globale, afferma la CIO survey 2018 Gartner, utilizzi la blockchain nei delicati ambienti di produzione: come avvenuto per il cloud, anche se non è detto che raggiunga un successo paragonabile, anche la blockchain dovrà prima conquistare la fiducia delle aziende. Compito tutt’altro che semplice.