gTLD: la strategia Uniregistry ha senso?

gTLD e mercato domini

I gTLD sono nuovamente sotto i riflettori. A seguito delle dichiarazioni di Frank Schilling, CEO di Uniregistry, azienda che opera nel settore dei domini come registrar di vari domini e come registro ufficiale di alcune estensioni gTLD, l’industria è tornata ancora una volta a scontrarsi sui successi e gli insuccessi (le opinioni sono variegate) delle estensioni introdotte dall’ICANN per “movimentare” il mercato.

Schilling non ha usato giri di parole per spiegare quale fosse la ragione dietro al considerevole aumento dei prezzi di listino dei gTLD presenti nel portfolio (.juegos, .audio, .hiphop, .flowers, .guitars, .property, .hosting, .blackfriday): il numero di registrazioni totali è semplicemente troppo basso, ha dichiarato, e con queste esigue cifre non è possibile sostenere le spese derivanti dal mantenimento di un gTLD. Nonostante un ulteriore e prevedibile calo di registrazioni causato dai prezzi premium (si passerà da 1o$-30$ a 100$-300$ all’anno), Uniregistry sarà tuttavia in grado di aumentare i guadagni che potranno essere reinvestiti anche in campagne promozionali a supporto dei gTLD, afferma Schilling.

Cosa vuol dire essere registro ufficiale di un gTLD?

Diversi portali specializzati sono stati “ispirati” dalle parole di Schilling e non hanno aspettato più di tanto ad appronfondire diversi aspetti della vicenda. I contributi che citiamo nel post di oggi arrivano da Domain Name Wire (DNW) e cercano di capire se le dichiarazioni del CEO Uniregistry sia veramente attendibili: nel primo contributo si è parlato dei costi che un’azienda deve sostenere in vece di registro ufficiale di un’estensione. Vediamo cosa ha scoperto Andrew Allemann  (autore di entrambi i pezzi).

Per la maggior parte dei registri, osserva il giornalista, l’esborso minimo da pagare è la somma trimestrale dei corrispettivi dovuti all’ICANN ed ai provider che si occupano di gestire le varie operazioni di “mantenimento” (come Neustar e CentralNic). Nel caso di Uniregistry, l’azienda esegue tutte le operazioni “in casa” e non deve quindi appoggiarsi a soggetti di terze parti che, per un piccolo registro, possono esigere dai 25.000$ ai 50.000$ all’anno. La parcella annuale dell’ICANN, per estensioni al di sotto delle 50.000 registrazioni, ammonta ad altri 25.000$.

Per “sostenere” un TLD occorrono dai 50.000$ ai 75.000$ ogni dodici mesi, prosegue. E questo calcolo non ha tenuto conto di altre secondarie, ma sempre presenti, voci di spesa come l’attività di marketing e non solo. In base alle cifre stimate dal giornalista, appare aevidente come un gTLD con poche migliaia di registrazioni (per il portfolio Uniregistry si parla di valori sotto le 5000 e tra le 5000-10.000 unità) sia effettivamente oneroso da gestire.

Il caso del gTLD .guitars

La scarsa profittabilità dei gTLD tirati in ballo da Frank Schilling è oggetto anche del secondo contributo. Nello specifico il giornalista ha voluto indagare sul rendimento del gTLD .guitars, considerato tra i “più deboli” del porfolio Uniregistry. La domanda al quale cerca di rispondere l’editorialista è semplice: .guitars è un gTLD fallimentare?

Prima di tutto i numeri: in data 9/3/2017, affema il redattore, venivano attribuiti a .guitars 1546 domini (1851 domini secondo le statistiche di nTLD). Dopo una rapida scrematura è iniziata così l’analisi dei rimanenti 1416 domini. Ecco una sintesi:

  • 393 domini sono riconducibili ad utenti finali, ovvero aziende o persone che hanno interessi o attività legate effettivamente  al mondo degli strumenti musicali. Di questi solo 140 hanno portato a siti web effettivamente validi; 157 hanno invece inoltrato il visitatore/giornalista a portali ospitati su differenti TLD; 96 non hanno condotto il redattore ad alcun sito o lo hanno dirottato su una “pagina di cortesia” (holding page) del registrar. Nonostante diversi domini siano stati registrati da aziende che producono/vendono strumenti musicali, buona parte fa capo a musicisti indipendenti, maestri di chitarra, piccoli negozi di strumenti ed altri hobby.
  • 101 domini sono stati catalogati come “registrazioni precauzionali”. Si tratta quindi di acquisti che hanno come unico obiettivo quello di mettere al sicuro un determinato dominio per non lasciarlo a disposizione della concorrenza o di altri potenziali acquirenti. Il giornalista nota che le registrazioni sono state effettuate anche da brand che non hanno niente a che fare con il mondo degli strumenti musicali come ad esempio Twitter (twitter.guitars).
  • 216 rientrano invece in classiche operazioni d’investimento. Nella categoria sono stati inseriti tutti i domini che conducevano ad un aftermarket/parking nameserver o ad una pagina in cui si comunicava al visitatore che “il dominio era disponibile per l’acquisto”.
  • 706 domini sono stati bollati come inutilizzati. Si tratta, ipotizza il giornalista, di domini con i quali gli utenti finali o alcuni speculatori non sanno ancora bene cosa fare.

Rischio calcolato

Al momento non è possibile prevedere quanti dei .guitars censiti “sopravviveranno” al ritocco dei listini. Diversi utenti finali non vedranno probabilmente di buon occhio una quota annuale di 100$ (15$ è l’attuale prezzo, almeno fino a settembre 2017) e non rinnoveranno il dominio. Gli acquirenti più facoltosi (aziende) non batteranno invece ciglio e pagheranno tranquillamente gli 85$ aggiuntivi.

Sono allora due le osservazioni che si possono fare in merito alla politica adottata da Uniregistry: la prima è che, da un punto di vista prettamente finanziario, la strategia sembra destinata ad avere successo. Come osserva infatti lo stesso redattore, al provider basterà circa 1/5 dell’attuale base di domini per avere un minimo margine di guadagno. Ed i domini potrebbe essere anche superiori ad 1/5, ipotizza.

La seconda è che, da un punto di vista prettamente commerciale e di marketing, gli utenti della fascia “consumer” sono destinati ad essere tagliati fuori. E ciò non farebbe altro che allontanare la fascia di acquirenti che ad oggi si è rivelata quella meno attratta dai gTLD – per vari motivi, vuoi per il predominio di estensioni storiche .COM, vuoi per le inadeguate/inesistenti camapagne di promozione dell’ICANN. Per saperne di più non ci resta che attendere 12-24 mesi, conclude il redattore.

Fonti: 1, 2