Digitalizzazione in UE: i dati italiani di Eurostat

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L’Unione Europea annualmente si occupa, mediante Eurostat, di misurare il grado di digitalizzazione dei vari stati membri per una lunga serie di questioni legate a singole persone ed imprese. A partire dai dati pubblicati nel sito ufficiale UE vedremo qual è l’attuale stato di salute per quel che riguarda le varie tematiche.

A partire dalle cosiddette Digital Skills, la UE pone come obiettivo per il 2030 che almeno l’80% dei cittadini europei ne abbia una conoscenza almeno di base, livello che come vediamo dal report è però ancora lontano, visto che siamo ancora fermi al 56% nonostante almeno il 90% delle persone navighi almeno una volta alla settimana in internet. I paesi nordici come l’Olanda sono quelli più avanti nell’obiettivo mentre l’Italia si attesta sotto la media europea ed è ferma al 45,8%, un dato certamente da migliorare con urgenza. Non va meglio per la percentuale di ICT specialists, che sono in media UE al 4,8% ma in Italia siamo comunque terz’ultimi a 4,1%. Nonostante il livello più basso rispetto alla media europea va un po’ meglio per quel che riguarda la formazione aziendale, al momento al 19% delle imprese contro il 22,4% di media.

Passando invece alla digitalizzazione delle imprese, vediamo grossissime differenze tra grandi e PMI, con quest’ultime ancora indietro rispetto agli obiettivi per il 2030 della UE. Lo scorso anno il 59% del totale delle imprese europee ha raggiunto un livello di base di digitalizzazione, ma scindendo il dato vediamo che le PMI sono ferme al 58% mentre le grandi aziende sono già al 91%. Nel dato aggregato, l’Italia segna una grossa percentuale di aziende con un livello molto basso e basso (77,7% totale) ed anche in questo caso le percentuali sono tenute in basso dalle PMI. Nel 2023, spiega Eurostat, il 45% delle aziende europee ha acquistato servizi in cloud, che vengono utilizzati prevalentemente per le email e per lo storage. In questa categoria l’Italia fa segnare un dato oltremodo positivo, visto che la media europea viene superata quasi del 20% e si ferma al 61%, nelle prime 5-6 posizioni. Diverso il discorso legato alla AI, che attualmente viene usata dall’8% delle aziende in UE ed in larga misura dalle grandi aziende, dato che nel nostro paese è più basso della media (5%).

Ma per cosa utilizzano internet i cittadini europei? Per rispondere a questa domanda Eurostat mette a disposizione una tabella con una sorta di maxi-classifica delle attività principali. Esse sono innanzitutto legate alla comunicazione con altre persone, visto che l’invio di email e la messaggistica istantanea sono ai primissimi posti con percentuali altissime (86 e 82%). Passando ad attività più legate alla persona come l’home banking, che viene usato dal 70% dei cittadini. Passando allo shopping online vediamo, seppur scostato nelle fasce più giovani, un grande successo dei negozi in rete, nei quali il 75% dei cittadini europei ha dichiarato di acquistare prodotti nell’anno 2023. Per quel che riguarda gli italiani, nella doppia fascia d’età che va dai 16 ai 24 e dai 25 ai 64 anni la quantità di clienti di shop online supera il 60%, ma si abbassa drasticamente nella terza fascia (34%). Questa tendenza è uguale in tutta la UE a livello proporzionale, ma ci sono paesi come Danimarca, Svezia e Olanda nei quali gli acquisti nella fascia d’età 65-74 arriva addirittura a quota 78%. I prodotti più acquistati in UE sono di gran lunga i capi d’abbigliamento ma vanno per la maggiore anche i biglietti per eventi, contenuti in streaming e la prenotazione di vacanze.

Passando all’utilizzo di internet da parte delle imprese, si nota come anche qui i numeri siano in netta salita, a partire dall’uso dei social media, che Eurostat attesta al 61%, mentre dieci anni prima ci si fermava al 34%. Passando ai meeting online, chiaramente la spinta data dal Covid19 a partire dal 2020 è stata anche motivo di rivisitazione delle classiche prassi per moltissime aziende di tutte le dimensioni. Ciò considerato, non stupisce che la metà delle aziende europee utilizzi questa metodologia di incontro così come più del 60% o 70%, a seconda dello strumento, fornisca accessi e soluzioni per il lavoro da remoto. La vendita di prodotti online vede anch’essa grosse differenze a livello di tipologia d’azienda, con le grosse imprese al 46% e le PMI al 22%, due percentuali che nel nostro paese sono un po’ più alte per le grandi aziende, al 47%, e diversi punti sotto la media per le piccole e medie, al 18,5%.

Passando alla sicurezza online, Eurostat fornisce dati divisi in tre diverse soluzioni per le imprese, quali le password forti, i backup in una diversa posizione geografica e l’accesso privato alle reti. Considerando che il 22% delle imprese ha avuto problemi di sicurezza, non è impensabile che la media UE dell’utilizzo di queste tre diverse soluzioni sia rispettivamente dell’82%, 77% e 64%. In Italia da questo punto di vista è possibile essere ottimisti, visto che in tutti e tre i casi le percentuali sono quasi sempre maggiori. Le password forti vengono infatti utilizzate dall’83% delle imprese, i backup in altra località geografica si attestano all’80% e infine l’accesso remoto si ferma al 60%.

Considerando gli obiettivi del 2030, molto ambiziosi vista la quantità di stati e le differenze socio-economiche tra gli stessi, questi dati possono essere letti in modo un po’ pessimistico, ma il risvolto della medaglia in positivo è costituito dal fatto che di anno in anno sta aumentando la sensibilità sulle innovazioni e quindi il ricorso a quest’ultime. Semmai sarebbe necessario concentrare gli sforzi, adesso, sulle PMI, che a livello numerico sono ovviamente più pesanti e che devono necessariamente tenere il passo in modo più netto.

 

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