Indipendentemente dalle soluzioni costruttive e dalla strumentazione impiegata, i data center hanno sempre avuto un elemento in comune: la presenza di personale specializzato assegnato alla gestione dell’edificio e delle macchine al suo interno. E se in futuro i data center diventassero delle strutture completamente autonome e prive di staff “umano”?
E’ un’idea che circola ormai da alcuni anni nel mondo IT ed alla quale ci si riferisce con le espressioni “lights out” o “dark sites”. Tra i pionieri di tale approccio, il quale è stato implementato con successo nel business aziendale, troviamo il colocation provider EdgeConneX – che rappresenta tuttavia un’eccezione e non la regola.
Vi sono molte resistenze e perplessità in merito alle strutture automatizzate – che costituiscono prevedibilmente una “nicchia” di mercato. Come gestire situazioni d’emergenza (blackout o calamità naturali) in assenza di personale on site? – si chiedono i più scettici. Lo stesso Uptime Institute, al fine di garantire la completa operatività di una struttura Tier III o IV, raccomanda la presenza di almeno due addetti ai lavori.
E per quanto riguarda il monitoraggio della struttura? – si domandano sempre gli oppositori. Tra gli strumenti, ancora in fase embrionale e quindi con ampi margini di miglioramento, troviamo i servizi DMaaS (data center management as a service, un sistema di gestione via cloud) ed i software DCIM (data center infrastructure management) che permettono di controllare da remoto specifiche apparecchiature o intere strutture. Anche l’IA ed il machine learning potrebbero giocare un ruolo importante automatizzando varie procedure.
I vantaggi di un data center senza personale
I sostenitori dell’avveniristico modello sostengono che l’impiego delle ultime tecnologie (IA, robotica, sistemi di monitoraggio remoto), unitamente ad una nuova concezione che considera i data center più delle “macchine” (451 Research ha coniato il termine Datacenter as a Machine) che degli “edifici”, consentirebbe di avere strutture ancora più efficienti ed affidabili rispetto agli attuali standard. I vantaggi garantiti da tale approccio sarebbero nello specifico i seguenti:
- risparmio energetico. Tra le principali voci di spesa vi sono i costi derivanti dall’energia necessaria per alimentare la struttura ed i sistemi di refrigerazione delle macchine e la climatizzazione degli ambienti lavorativi. L’assenza del personale consentirebbe ad esempio di innalzare le temperature operative anche oltre il 26 gradi centigradi, soglia perfettamente tollerabile dall’hardware certificato. Anche soluzioni di raffreddamento all’avanguardia (come l’immersione dei componenti hardware in fluidi dielettrici) sarebbe finalmente a portata di mano perchè non più frenate dalla presenza umana – apposite “aree climatizzate”, estremamente inefficienti, renderebbero vani i vantaggi offerti dal liquido in grado di trattenere oltre il 90% del calore generato;
- migliore gestione degli spazi. Strumentazione, rack, ed ambienti di lavoro sono stati pensati per facilitare l’operato dello staff ed essere “compatibili” con quest’ultimo. Bracci robotizzati e soluzioni affini potrebbero invece lavorare in spazi più ristretti permettendo la concentrazione di un più elevato numero di macchinari (data center ad alta densità);
- riduzione del downtime e più sicurezza. In uno studio del 2016 il Ponemon Institute ha indicato l’errore umano come la seconda principale causa di downtime nei data center. Bisogna poi menzionare gli incidenti sul lavoro, anche mortali, come l’elettrocuzione o il pericolo d’incendi – mantenere più bassi livelli d’ossigeno nell’ambiente è una soluzione non praticabile in strutture in cui lavorano persone. Una struttura autonoma ed accessibile solo in caso di emergenza ridurrebbe i pericoli menzionati e l’incidenza dell’errore umano sulla disponibilità generale.
Prima che il modello “lights out” possa affermarsi e diffondersi, il settore IT dovrà superare le proprie paure (in parte fondate, tale approccio potrebbe comportare “altri” rischi) e dotarsi di strumenti di gestione collaudati.
L’ambito nel quale potrebbe avere maggiormente presa questo modello è l’edge computing cioè la raccolta e l’analisi “di prima mano” dei dati captati da sensori o altri device in strutture d’appoggio sparse sul territorio ma collegate al data center principale – il trend è legato all’Internet delle Cose ed ai dispositivi intelligenti. Il problema del taglio dei posti di lavoro non è stato invece affrontato dagli esperti che ipotizzano il reimpiego di una parte dello staff nei team assegnati al controllo periodico delle strutture.
Fonte: 1