Torniamo ad occuparci di data center ed energia. Dopo l’approfondimento dedicato ai consumi energetici ed all’evoluzione delle tecniche di efficientamento delle infrastrutture, è il momento di affrontare il tema delle energie rinnovabili. A molti non sarà certamente passato inosservato il crescente interesse dell’opinione pubblica per tematiche inerenti la tutela dell’ambiente, dalla famigerata ecostenibilità al problema dell’innalzamento delle temperature e all’auspicabile riduzione delle emissioni CO2 – i media hanno dedicato molta attenzione all’accordo di Cina e Stati Uniti sulla riduzione delle emissioni (-40% rispetto ai valori del 1990) entro il 2030.
Un simile trend ha iniziato ad affermarsi anche tra i provider (e clienti) di servizi di colocazione, ovvero l’affitto a terzi di strumentazione, hardware, banda e spazio fisico di una struttura. Se per grandi compagnie come Microsoft la prospettiva di pubblicità extra e di un abbassamento dei costi erano stati fino ad oggi un motivo più che valido per investire nell’energia pulita (es: strutture alimentate da energia eolica, solare etc.), lo stesso non si era potuto dire per coloro che costruiscono ed affittano data center, almeno fino ad ora. Sembra infatti che anche in questo settore le rinnovabili abbiano iniziato ad essere “redditizie” per il vigente modello di business.
Un rinnovato interesse
Data Center Knowledge (DCW) ha spiegato l’inversione di tendenza come segue: in primo luogo l’abituale clientela dei provider è interessata o sta progettando/mettendo in atto dei piani energetici incentrati sulle rinnovabili e l’energia pulita; un fornitore “green” è visto quindi più favorevolmente dal potenziale target di riferimento del settore. In secondo luogo l’abbassamento generale dei costi dell’energia pulita (il sito si riferisce agli Stati Uniti in questo caso): almeno all’ingrosso, sottolinea DCW, l’energia green è riuscita a recuperare il divario con quella ottenuta da combustibili fossili diventando altamente competitiva sui listini. Per i provider la possibilità di accedere al mercato all’ingrosso e di assicurarsi contratti di fornitura “blindati” (quindi non suscettibili alle fluttuazioni del mercato per diversi anni) con centrali fotovoltaiche, eoliche etc, completa il quadro.
Akamai sembra confermare quanto detto. L’azienda gestisce uno dei CDN (Content Delivery Network) più estesi a livello globale (conta oltre 130 infrastrutture) appoggiandosi non solo a data center proprietari ma anche a vari colocation provider. In base alle affermazioni di un rappresentante della compagnia, lo scorso maggio Akamai ha cambiato radicalmente la propria strategia ponendo in primo piano l’obiettivo di rendere sostenibile un network costituito da oltre 200.000 server. L’interesse di investitori e clienti Akamai (intenzionati a raggiungere anche i propri obiettivi energetici) nelle rinnovabili è cresciuto esponenzialmente fino a convincere l’impreso alla grande scommessa: sposare l’approccio ecosostenibile, sfruttandolo come elemento distintivo del brand, puntando entro 4 anni al traguardo di alimentare il 50% della propria infrastruttura con energia pulita.
Difficoltà di approvigionamento e regolamentazioni varie
Alla domanda generale sembra tuttavia non corrispondere un’adeguata offerta. Il portfolio di molti fornitori è privo di prodotti “green”: un’azienda di alto profilo come Duke Energy (tra le più importanti in USA) si è convinta ad includere energia rinnovabile in listino solo grazie alle ripetute richieste di Google – intenzionato ad alimentare le proprie infrastrutture del Nord Carolina con energia pulita.
Bisogna poi ricordare le regolamentazioni dei vari Stati che, in generale, non consentono di approvigionarsi liberamente di rinnovabili e pongono una serie di divieti e limitazioni. Il caso di Switch ne è un esempio: il provider di infrastrutture riuscì a stipulare un vantaggioso accordo con un produttore di energia solare per alimentare vari data center in Nevada. Le regolamentazioni entrarono subito in vigore bloccando Switch ed obbligandolo a restare allacciato al provider nazionale (NV Energy); quest’ultimo fu poi autorizzato ad agire come intermediario tra il produttore green e Switch al quale fu imposto di acquistare energia solare direttamente da NV – ad un prezzo maggiorato rispetto a quello iniziale.
Renewable Energy Credits e non solo
Il sistema dei certificati REC (Renewable Energy Certificates) rappresenta un altro ostacolo per l’affermazione delle rinnovabili. Per REC si intende una commodity energetica acquistabile o scambiabile che attesta la produzione di 1 megawattora di energia pulita da fonti rinnovabili: dovendo essere quest’ultima necessariamente immessa nella rete nazionale e quindi “mischiata” con altre tipologie di energia, è chiaro come i REC siano stati pensati come una sorta di documento di riconoscimento. Il sistema può purtroppo essere facilmente piegato alle esigenze dei meno onesti perchè un provider X può benissimo “collezionare” tutti i certificati REC che vuole per poi allegarli ad uno stock di energia “sporca” che sarà considerata immediatamente come “green”.
Gli stessi data center provider devono infine migliorare le modalità di gestione e monitoraggio dei consumi energetici. Diverse compagnie, anche ai vertici del settore, non dispongono di strumentazioni in grado di quantificare l’esatto consumo energetico delle infrastrutture. E di conseguenza i clienti (come Akamai) si ritrovano a pagare un corrispettivo pari alla capacità energetica impiegata (costo per kilowatt) piuttosto che a quella utilizzata effettivamente (costo per kilowattora).
Un tentativo per standardizzare le modalità di distribuzione dell’energia pulita è stato comunque avviato dalla ONG Businesses for Social Responsibility che sta lavorando ad una bozza da proporre successivamente… riuscirà nel suo intento?