Nel gennaio 2024, in un approfondimento sul tema, avevamo parlato della fine, sempre più vicina, del sistema di raccolta dei cookies di terze parti e di ciò che, verosimilmente, sarebbe accaduto in seguito a questo avvenimento. Dopo alcuni mesi torniamo a trattarlo a causa di un ulteriore rimando della scadenza del suddetto sistema, avvenuto per diversi motivi che tenteremo di analizzare in questo articolo.
Google, come discusso a gennaio, ha iniziato il percorso togliendo la raccolta dei cookies di terze parti all’1% degli utenti di Chrome, che tradotto in cifre significa circa 30 milioni di persone. Tutto questo era chiaramente pensato come una prima fase di test per poi passare alla totale cancellazione della raccolta entro il 31 dicembre e per passare a Privacy Sandbox, il nuovo sistema Google per la raccolta dei dati di chi naviga il web. Il problema che adesso porterebbe ad un nuovo rinvio, che parrebbe essere l’ultimo, della fine della raccolta dei cookies riguarda i dubbi espressi da CMA (Competition and Market Authority), un dipartimento britannico che si occupa proprio di materie connesse alla concorrenza. I dubbi di CMA risiedono quindi nello scarsissimo se non nullo livello di alternative a Google Ads per la raccolta di dati degli utenti ed il retargeting delle proprie campagne di digital marketing.
Il compito che si è prefissato Google, quindi, è quello di rilasciare Privacy Sandbox non prima del giudizio di CMA, mentre quest’ultima ancora attende i risultati dei test effettuati dai pubblicitari inglesi per dare un feedback definitivo all’azienda di Mountain View. Se tutto va bene, all’inizio del 2025 Google metterà a disposizione le API di Privacy Sandbox, nuovo strumento per la raccolta dei dati, protezione della privacy e fornitura di strumenti di retargeting per i marketer.
Chiaramente non è solo l’authority del Regno Unito quella che ha messo nel mirino Google e Privacy Sandbox, questo perché in tutto il mondo i nuovi strumenti sono tanto attesi quanto sotto la lente d’ingrandimento degli enti che si occupano di antitrust e quelle che si occupano di difesa della privacy. In un caso, come abbiamo visto, le preoccupazioni nascono dall’apparente capacità dei nuovi strumenti di carpire informazioni sugli utenti come, ad esempio, un cambio di device per navigare. Questa specifica accusa è stata mossa da un’associazione americana, la IAB (Interactive Advertising Bureau), che coinvolge in essa sia editori che pubblicitari.
Tornando ai dubbi avanzati dagli esperti, dal lato dell’antitrust troviamo perplessità già espresse in vecchi approfondimenti, sui quali pesa l’argomento dell’unico fornitore di dati degli utenti in tutto il mondo del web, cosa che ucciderebbe ovviamente ogni tentativo di concorrenza e metterebbe pertanto a rischio i consumatori. Vedremo se questo ulteriore rimando della decisione definitiva prenderà una piega migliore sia per Google che per tutti gli enti e le associazioni chiamate ad emettere un giudizio in merito. A questo punto l’appuntamento è per il 2025, ma come sempre è legittimo aspettarsi anche qualche sorpresa.