Il settore colocation degli USA è un punto di riferimento a livello globale (“muove” 30 miliardi di dollari). Grazie alla forte domanda di “nuovi spazi” generata da cloud provider come Amazon, Microsoft, Google e l’ingente schiera di inseguitori (IBM, Oracle etc.), i colocation provider si trovano ormai da alcuni anni in una “fortunata congiuntura” destinata a durare almeno per il prossimo lustro, affermano gli analisti – si prevede infatti una crescita annuale pari al 15%.
Consapevole del fatto che i servizi colocation sono fortemente dipendenti dai costi, Lars Strong (Senior Engineer e Company Science Officer presso Upsite Technologies) ha cercato di valutare e quantificare l’eventuale impatto di una corretta gestione dei flussi d’aria sulle spese annuali. Vediamo quali sono state le principali considerazioni e conclusioni.
La gestione dei flussi d’aria è un compito importante ma sul quale non è raro chiedersi a chi ne spetti realmente l’onere: al gestore o all’utente? I primi affermano di avere sostanzialmente le mani legate: imporre determinate condizioni ai clienti non farebbe altro che portali tra i rack della concorrenza; i clienti bollano come tempo perso la questione dei flussi d’aria perchè non porterebbe ad alcun beneficio tangibile in bolletta.
Power Usage Effectiveness e flussi d’aria
Con il termine power usage effectiveness (PUE abbreviato), si indica un valore in grado di quantificare il livello di efficienza di un’infrastruttura nell’utilizzo dell’energia necessaria al proprio funzionamento. A fronte di alcune anomlie, osserva Lars, la PUE rimane uno degli indicatori più attendibili per la stima dei costi operativi. La tabella che è possibile visionare qui di seguito mostra quanto sia possibile risparmiare ogni 12 mesi passando da un determinato valore PUE ad un altro:
Lars afferma che buona parte del budget e dell’energia risparmiati sono da attribuire ad una corretta gestione dei flussi d’aria. Ed in specifiche situazioni questi ultimi possono essere l’unico fattore determinante. Il solo passaggio da una PUE 2.0 ad una PUE 1.75, sottolinea, può portare ad un risparmio di oltre 200.000 dollari, cifra che consente di ripagare ampiamente la liquidità destinata alla studio ed all’implementazione di soluzioni per la gestione dei flussi.
Analizzando più dettagliatamente i risparmi derivanti dal miglioramento della PUE, Lars afferma che i valori più importanti si notano ad esempio nel comparto ventole, le cui velocità di rotazione diminuiscono sensibilmente. Una buona gestione dei flussi diminuisce inoltre la differenza di temperatura tra l’aria del sistema di refrigerazione ed il valore massimo consentito per il corretto funzionamento di un server. Questo comporta ingenti risparmi sulla bolletta: per rientrare ad esempio nei valori consigliati di 26.7° C occorre immettere nel sistema dell’aria con temperatura compresa tra i 23.9° ed i 25.5° C) piuttosto che tra i 12.8° e 15.6° C (in assenza di gestione dei flussi).
Tirando le somme, aggiunte Lars, questo cambiamento si traduce in un riduzione del 30-50% dell’energia destinata al sistema di refrigerazione che dovrà impiegare meno corrente per mantenere i livelli di temperatura richiesti.
A chi spetta l’onere?
I benefici derivanti da una corretta gestione dei flussi interessano direttamente ed indirettamente tanto i colocation provider (margini di guadagno superiori) quanto i clienti (riduzione dei costi, miglior rapporto tra costo e scalabilità). Non essendoci tuttavia alcuna una regola scritta, uno standard comune all’intero settore, il compito di occuparsi dei flussi non è teoricamente obbligo di nessuno ed è assegnato ad una o all’altra compagine senza alcun criterio preciso.
Lars cerca di fare chiarezza affermando che l’attribuzione dell’onere puà essere stabilita in base al modello di business e tariffazione adottato: in base alle variabili del nuovo modello, il colocation provider può entrare in gioco sia come semplice consulente che come arbitro (imporre determinati standard all’interno del data center). Naturalmente anche gli “inquilini” sono chiamati di volta in volta a rispettare determinate consegne o ad agire in prima persona.
Interpellato sulla questione, John Sasser (vicepresidente di un’azienda che opera nel settore colocation e gestisce oltre 270.000 metri quadrati di data center) risponde: “alcuni clienti sono maggiormente consapevoli di altri [sulla questione dei flussi d’aria], gli operatori delle infrastrutture devono essere quindi preparati a spiegarne i princìpi base ed i benefici annessi. Al giorno d’oggi sembra che i clienti non necessitino di molte spiegazioni.”
Tradotto in parole più semplici, conclude Lars, significa che nelle strutture single-tenant la gestione dei flussi è responsabilità del cliente mentre nelle location multi-tenant è il provider a dover imporre delle specifiche normative.
Analogalmente, nelle stutture single-tenant è dovere dell’operatore mettere a disposizione una struttura che si presti all’attuazione di norme d’ottimizzazione dei flussi; in ambito multi-tenant è obbligo dei clienti offrire massima cooperazione e comportarsi da “buoni vicini”.