Nel post di oggi riportiamo un intervento di Trevor Pott dal portale The Register. L’editorialista intitola il suo articolo “Il cloud non è niente di nuovo. E’ quello che stiamo [creando] ad esserlo”. I cambiamenti derivanti dall’affermazione della tecnologia ricordano per Trevor alcune dinamiche verificatesi diversi milioni di anni fa con i nostri “antenati”. Vediamo meglio come è stato articolato il curioso discorso.
Negli ultimi 10 anni il cloud è passato da “semplice novità” all’essere universalmente popolare (mainstream). Il cloud pubblico ho cambiato i processi di business dell’industria IT, dalle imprese fino ai vendor e privati. La nuvola è ormai una parte inscindibile dello stesso settore IT che tuttavia, come tutte le altre tecnologie, ha dovuto adattarsi ed evolversi fino a diventare qualcosa di differente da quanto auspicato inizialmente, aggiunge il giornalista. Come se non bastasse, la sua adozione non è stata favorita tanto dalla tecnologia, team qualificati possono ottenere on premise risultati superiori rispetto al cloud pubblico, bensì da fattori umani. Sono state poi le richieste dei clienti a rendere il cloud pubblico quel che è effettivamente diventato.
Dal passato al presente
Che cosa rappresenta oggi il cloud? La commodizzazione dell’IT. A questo punto Pott intede spiegarci meglio che cosa intenda ricorrendo all’analogia con il cibo. Per diverso tempo gli esseri umani hanno dovuto sviluppare determinate conoscenze/abilità per sopravvivere e procurarsi il cibo. Sappiamo molto bene quale importante ruolo ricoprissero i cacciatori in passato, un compito che a sua volta richiedeva la conoscenza di un ampio parco di nozioni tecnico-pratiche: dalle tecniche di caccia (seguirie le tracce, sapere dove trovare determinata selvaggina, costruire armi ed utensili) fino a quelle di lavorazione della materia prima (lavorazione della carcassa, macellazione della carne, trattamento delle pelli etc.). Per ottimizzare al meglio il processo di raccolta, le comunità pensarono giustamente di suddividere i compiti tra più persone, come successo, tornando un attimo al presente, in ambito IT.
Che cosa innescò allora il cambiamento? Il commercio e l’agricoltura. Grazie alla seconda la quantità di cibo a disposizione aumentò; le condizioni di vita migliorarono favorendo un incremento della popolazione. Il primo consentì invece alla gente di disporre di beni fino a quel momento reperibili solo attraverso l’esercizio di specifiche attività. Si passò allora dalla quotidiana sopravvivenza al poter reperire “facilmente” cibo ed altro visitando semplicemente l’area adibita alla compravendita, situazione che lasciò molto più tempo libero alle “persone creative per pensare”. E’ così che, semplificando leggermente il tutto, l’editorialista sostiene che siano nate varie “innovazioni”: dall’aratro fino agli acquedotti ed alle invenzioni più recenti.
Le promesse del cloud ed il futuro
Lo scenario descritto alla fine del breve salto nel tempo è il medesimo nel quale si trova oggi il cloud pubblico, prosegue: tanto privati quanto aziende non hanno bisogno di andare in cerca di una stanza dei server ed avviare un’istanza. Le operazioni che devono compiere sono poche e semplici: scegliere l’istanza preferita, ricaricare la propria carta di credito ed ordinare il servizio. Il cloud pubblico è un marketplace: l’attenzione dei clienti non è rivolta al come procurarsi o creare quel che acquistano, bensì al come trasformare le cose hanno comprato. Ecco spiegata allora l’analogia con le dinamiche passate: il cloud non ha inventato niente di nuovo ma ci sta consentendo di ideare qualcosa di inedito.
Eppure, osserva Trevor, quel che ci era stato promesso non è ancora arrivato: cloud privato, possibilità di spostare vari workload avanti ed indietro tra on premise e piattaforme pubbliche, l’arrivo degli innovitavi processi adoperati nelle infrastrutture dei cloud vendor nei data center on premise, infrastrutture meno costose. Quel che la società voleva era una rivoluzione nelle modalità di provisioning dell’IT. Che cosa ci riserva allora il futuro? Per l’editorialista il cloud pubblico offre un elemento in grado di innescare la “rivoluzione dell’innovazione”, ovvero la convenienza.
Siamo in una fase in cui non sono ancora state stabilite delle precise linee guida: cloud provider, addetti ai lavori, privati, vendor IT non hanno ancora trovato un accordo ottimale su quali workload debbano essere destinati al pubblico, quali ad ambienti privati e soprattutto sul come facilitare i processi on premise. Uno dei rischi da considerare è quello di cedere il controllo delle più importante rivoluzione dai tempi dell’agricoltura a tre o quattro compagnie, afferma Trevor riferendosi probabilmente ai big del settore. “Collettivamente dobbiamo allora trovare la giusta strada. Dobbiamo perseguire l’efficienza utilizzando [i mezzi in nostro possesso] ma preservando allo stesso tempo la convenienza richiesta per innovare” conclude.