Il cloud computing è ormai sulla scena mondiale da 13 anni, se si considera come esordio ufficiale della tecnologia l’arrivo di Amazon Web Services (AWS) sul mercato. Il boom vero e proprio si è avuto però nella seconda decade del nuovo millennio con il lancio di altre piattaforme (Microsoft, Google) e la diffusione della parola “cloud”, spesso abusata, in molteplici contesti. Gli indubbi vantaggi offerti dalla nuvola hanno prevedibilmente attirato l’interesse delle aziende che, contravvenendo alle più ottimistiche aspettative di AWS ed altri vendor che ne condividono la linea di pensiero, non hanno però spostato la totalità della loro infrastruttura nel cloud.
Tale stato di cose è ancora più evidente se ci si sofferma sulla situazione delle grandi compagnie nelle quali, per eterogeneità di applicazioni da supportare ed un’innata avversione al rischio, il passaggio alla nuvola sta impiegando più tempo del dovuto. La soluzione preferita in ambito enterprise continua ad essere il bare metal, termine con cui gli addetti ai lavori si che si riferiscono ai server fisici utilizzato da un singolo utente.
L’analisi dei più recenti dati diffusi da IDC può aiutare non solo ad inquadrare meglio il trend appena descritto ma anche a valutare verso quali possibili scenari si stia dirigendo il mercato del cloud computing.
Cloud ed on premise: indici di spesa a confronto
Sono principalmente due i valori che attirano l’attenzione dell’osservatore nella tabella qui sopra:
- la spesa del segmento non cloud (infrastruttura tradizionale non virtualizzata e destinata a vari casi di utilizzo, colore nero) si interseca con quella del cloud (pubblico e privato, colore verde) e viene superata da quest’ultima. Sebbene il trend sembri rispettare in pieno lo storytelling del “grande successo della nuvola”, dopo una riflessione più attenta ci si accorge che il sorpasso ha invece richiesto più tempo del dovuto. La virtualizzazione, uno dei pilastri fondanti del cloud affermatasi con prepotenza durante la grande recessione economica del 2008, consentiva infatti di massimizzare l’utilizzo dei server abbassando i costi, ma non è riuscita a soppiantare i bare metal che, per workload eseguiti su cluster dalle prestazioni e requisiti prevedibili ed invariati nel tempo, restano sempre l’opzione preferita dalle compagnie – come detto in apertura.
- La spesa del segmento cloud pubblico distacca notevolmente quella del cloud privato. L’accelerazione avviene nel secondo trimestre 2016 per poi assumere una traiettoria ancora più ripida a partire dal secondo trimestre del 2017. Al 30 settembre 2018 la nuvola pubblica raggiunge quota 12.1 miliardi (mld) di dollari ed un +56.1% su base annuale; il cloud privato raccoglie invece 4.7 mld ed un +28.3% su base annuale; alle infrastrutture non correlate al cloud ma ad altri workload spetta la spesa più alta con 16.2 mld ed un +14.2% su base annuale ma il cloud pubblico potrebbe colmare il divario nel giro di alcuni anni, portando a compimento l’avanzata lenta ma costante delle aziende verso la nuvola.
In attesa dei dati finanziari del q4, IDC prevede che nel 2018 cloud pubblico e privato raggiungeranno i 65.2 mld di spesa (+37.2%) distanziando le infrastrutture tradizionali di oltre 12 mld – gli analisti si aspettano infatti 50 mld di dollari (+14.8%). Ad attirare maggiormente i budget aziendali saranno i server (+59.1% di spesa), lo storage (+20.4%) e gli switch ethernet (+18.5%). Nell’arco di quattro anni, concludono gli analisti, il “peso” dell’infrastruttura non cloud calerà sensibilmente passando dal 52.6% (2018) al 42.4% (2022).