Cloud computing pubblico: introduzione generale

Ti ho già parlato del cloud computing, della tendenza anche tecnologica di far tornare di moda determinate tematiche, delle complesse definizioni che a volte si danno a concetti banali e dell’immanenza che la nuvola ha nella vita quotidiana.

Ora vorrei fare con te un passo in avanti, cercando di condurti alla scoperta di come il cloud computing si declini in diverse tipologie tecnologiche e, nello specifico, di cosa si intenda con cloud computing pubblico. Non ti spaventare! Il discorso non è per nulla complesso e ti garantisco che sarà tutt’altro che noioso.

A volte, infatti, per capire le caratteristiche peculiari di tecnologie che possono apparire aliene a chi non è del settore, è sufficiente compiere delle analogie con l’esistenza di tutti i giorni e anche i concetti più complicati sembrano semplici e logici.

Proviamoci insieme!

Prima di tutto, voglio iniziare a dirti un trucchetto con cui diventa semplice classificare le diverse tipologie di cloud computing. Per distinguerle, infatti, devi semplicemente porti due domande:

  • dove vanno a finire i miei dati?
  • quali funzionalità posso sfruttare?

Sulla base della prima domanda, la nuvola si distingue in cloud computing pubblico (Public cloud per gli anglofoni), privato (private cloud) e ibrido (hybrid cloud).

Se si guarda al cloud rispondendo alla seconda domanda, invece, la nuvola può essere distinta in infrastrutturale – IaaS (Infrastructure as a Service), di piattaforma – PaaS (Platform as a Service) e applicativa – SaaS (Software as a Service).

Poiché non voglio riempirti la testa con nozioni che lasciano il tempo che trovano, in questo appuntamento ci occuperemo del solo cloud computing pubblico.

Cos’è il cloud computing pubblico, l’analogia dell’autosilos

Per capire cosa sia il cloud computing pubblico pensa a un silos pubblico per il ricovero della automobili. Parcheggiando in un autosilos, i costi dell’intera gestione dell’infrasrtruttura vengono suddivisi su tutti gli utenti del garage e tu contribuisci a pagarne una piccola parte giusto per il tempo in cui usi il servizio. Hai la flessibilità di trovare sempre parcheggio e se arrivi con un collega sei sicuro che anch’egli possa parcheggiare senza problemi, perché i posti sono davvero tanti, potenzialmente infiniti (dato il ricambio orario). L’autosilos però non è il tuo, non sei tu a gestirlo, non puoi sapere quali regole di sicurezza si applichino e chi ha o meno accesso alla struttura.

Ecco, questo è il cloud computing pubblico!

Se i dati con cui lavori ogni giorno finiscono in un data center di una società esterna alla tua azienda e la cui infrastruttura è separata dalle risorse IT dell’azienda stessa, allora puoi dire di lavorare in un ambiente di cloud computing pubblico o public cloud. Un service provider (come Amazon, Google, Microsoft e quello italiano di Hosting Solutions) mettono a disposizione i servizi dei propri data center in modo pubblico, consentendone l’accesso e l’utilizzo via Internet e fatturandone l’uso secondo un modello di pay-as-you-go o meglio noto come pay-per-use, cioè paghi solo per il tempo in cui usi le risorse, esattamente come nel caso del parcheggio.

Questa tipologia di cloud, come tutte le altre, ha vantaggi e svantaggi di cui bisogna tenere conto.

Vantaggi e svantaggi del cloud computing pubblico

Il fatto che un service provider metta a disposizione le proprie risorse tecnologiche a chiunque ne faccia richiesta, fa si che i costi di manutenzione, formazione del personale, gestione delle reti, delle licenze, degli spazi dove i data center alloggiano vengano spalmati sulla totalità degli utenti che possono utilizzare i servizi, avvantaggiandosi in questo modo della così detta economia di scala. Questo principio rende le offerte di cloud computing pubblico molto economiche e qualsiasi azienda si affidi a risorse in cloud  computing pubblico può avvantaggiarsi dell’infrastruttura IT di altri, a costi compatibili con i budget aziendali. Il modello pay-per-use, oltre tutto, permette di eliminare i costi in modalità CAPEX (di capitale), trasformandoli in costi OPEX (operativi).

Allo stesso tempo, gli utenti condividono le medesime risorse che garantiscono così un’imponente scalabilità (ossia l’opportunità di approvvigionarsi di quante risorse informatiche sono necessarie per le attività operative, virtualmente senza alcun limite) e prestazioni elevate.

Se ti affidi al cloud computing pubblico di Amazon, puoi immaginare di avere a tua disposizione tutta la potenza di elaborazione e storage dei data center di questo colosso IT.

A fronte di questi vantaggi, c’è sempre un rovescio della medaglia. Essendo un’infrastruttura non di proprietà dell’azienda, non si ha un controllo diretto sull’infrastruttura stessa, non si conoscono le scelte riguardanti le policy di sicurezza, si condividono le medesime risorse con libertà configurazionali limitate e si rischia che i propri dati possano essere alla mercé di chiunque, specialmente se sono memorizzati, scambiati e manipolati in chiaro, senza protezione crittografica.

Un po’ come accade nel caso dell’automobile parcheggiata in un autosilos.

Insomma, il cloud computing è adatto a chi ha workload standardizzati e ad accesso offerto a parecchi utenti, come ad esempio i servizi email, a chi ha necessità di un ambiente per lo sviluppo e il test applicativo, a chi ha necessità di incrementare la capacità computazionale delle risorse IT senza mettere mano ai budget, a chi effettua collaborazione online e alle startup che hanno bisogno di risorse convenienti economicamente e limitate all’inizio dell’attività, ma sempre pronte a scalare per profilare l’eventuale successo dell’impresa.