Alibaba è probabilmente sconosciuta in Italia, addetti ai lavori esclusi. Con una rapida ricerca su Internet si apprende che la compagnia, fondata nel 1999 da un ex insegnante di lingua inglese (Jack Ma), è già presente dal 2014 sul mercato finanziario statunitense (IPO da 230 miliardi di dollari), ma non solo: dal secondo trimestre 2017, come ha affermato il sito Netcraft, è anche il secondo hosting provider a livello globale per numero di computer visibili sulla rete – preceduta da AWS (storico numero 1) e seguita da Digital Ocean (ex numero 2).
Tra il 2014 ed il 2017, Alibaba è cresciuta notevolmente potenziando la propria infrastruttura cloud (uno dei tanti interessi, come vedremo a breve) ed aprendo nuovi data center all’estero – si va dal Giappone all’Australia fino agli Stati Uniti, l’Europa (Germania) ed hub fondamentali come Hong Kong e Singapore.
Tra i fattori che hanno giocato e giocano tutt’ora a vantaggio di Alibaba Cloud troviamo: la sostenuta crescita dell’economia nazionale (nel 2017 il PIL è cresciuto del 6.9%), l’immenso mercato interno, le rigide normative che limitano la libertà d’azione di provider esteri interessati ad operare in loco, la generosa copertura finanziaria offerta dalla divisione ecommerce, ai vertici della categoria insieme allo storico competitor JD.com – è il caso di ricordare che la stessa Amazon ha costruito le basi del proprio successo puntando prima sull’ecommerce e successivamente sul cloud.
Alibaba, incoraggiata dai positivi risultati del business cloud (per il 2016 si parla di 675 milioni di rendite per un +126% di crescita rispetto al 2015) auspica inoltre di poter eguagliare o addirittura superare AWS entro il 2019: considerando che nel 2017 AWS si aggirerà intorno ai 15-17 miliardi di rendite, l’obiettivo del presidente Simun Hu è sicuramente ambizioso (ma poggia su un promettente progetto, come spiegato nell’ultimo paragrafo).
Jack Ma non è tuttavia l’unico cloud player locale. Come mostra l’infografica dell’Economist, la schiera di competitor è tutt’altro che esigua: China Telecom; 21 Vianet/Azure, Wanda/IBM e Sinnet/AWS (le compagnie occidentali, si tratta di uno dei tanti “paletti” accennati in precedenza, devono delegare la gestione dei servizi cloud ad un rappresentante cinese); Tencent Cloud e Huawei (dalle nostre parti probabilmente nota per i suoi smartphone/tablet).
Queste ultime, soprattutto Huawei, saranno le piattaforme che nel biennio 2018-2020 incrementeranno maggiormente le proprie market share. Senza dimenticare piccoli ma intraprendenti player come UCloud.
Peculiarità del cloud cinese
Pur condividendo le medesime basi tecnologiche delle controparti occidentali (merito dell’open source), i provider cloud cinesi sono nati e cresciuti in una realtà totalmente differente da quella di Microsoft e Google:
“quel che cambia [rispetto all’occidente] è come questa tecnologia viene utilizzata – la risultante delle rispettive origini del cloud computing. Ad Ovest i primi clienti [dei provider cloud] furono startup e solo successivamente grandi compagnie. In Cina il cloud è cresciuto sui servizi consumer, inclusi Taobao (il marketplace ecommerce di Alibaba) ed i giochi online offerti da Tencent, la seconda più grande compagnia Internet [del Paese]. Come risultato, diversi servizi cloud non sono ancora pronti per complesse […] applicazioni [enterprise]“.
Le potenzialità per il settore sono però immense, aggiunge un analista Gartner, soprattutto se si considera quanto detto qui sopra: le compagnie cinesi, a differenza di quelle occidentali che prima di passare nella nuvola hanno in ogni caso sviluppato i propri sofisticati sistemi IT, non hanno mai conosciuto quella “fase”. Per loro esiste semplicemente il cloud come logica scelta di business.
Una seconda differenza riguarda le regolamentazioni. In Cina ogni settore dell’industria ha un cloud di riferimento. Le banche, ad esempio, si affidano solitamente ai servizi della CIB FinTech, divisione delle Industrial Bank of China specializzata in soluzioni cloud per istituti finanziari. I clienti hanno così a disposizione un ambiente conforme alle normative più recenti, il che si rivela estremamente comodo. In occidente un’agenzia governativa e delle banche finiscono spesso per condividere lo stesso data center con altri clienti, osserva il numero 1 di UCloud (Chong Cheng).
Prospettive future
Indipendentemente dalle quote di mercato, il confronto tra i big orientali ed occidentali è inevitabile. Gli analisti prospettano sul medio termine un mantenimento dello status quo, ovvero il predominio di AWS ed affini agevolato sia dall’avanzato livello tecnologico (come detto prima, le nozioni base per progettare una piattaforma cloud sono open source ma lo sviluppo di hardware custom ed in generale la sua gestione, lo sviluppo di servizi, funzionalità, interfacce etc. sono tutta un’altra storia) che dalla scarsa popolarità dei provider cinesi a livello internazionale (essendo “gli ultimi arrivati” devono prevedibilmente promuovere il proprio brand e farsi un nome all’estero).
La situazione potrebbe però cambiare con la messa in atto dall’ambiziosa “One Belt and One Road Initiative (OBOR)” del Presidente Xi Jinping, un piano colossale che prevede di migliorare i collegamenti e la cooperazione tra i Paesi dell’Eurasia, in sintesi la nascita di una via della seta nel XXI secolo che andrà dalla Cina fino alla Spagna. Considerato il numero di stati coinvolti (circa 60) e gli investimenti totali previsti, tra i 4-8 trilioni di dollari in un arco di tempo ancora indefinito, è chiaro che i cloud provider cinesi cercheranno in ogni modo di inserirsi nel progetto per sfruttarne la “spinta propulsiva” – ed è proprio grazie all’OBOR che Alibaba prevede di raggiungere e superare Amazon Web Services.
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