L’industria automobilistica guarda ad Internet ed al cloud computing. Da qualche anno abbiamo assistito all’informatizzazione dei veicoli che sempre più spesso sono muniti di computer di bordo e sistemi operativi “in miniatura” non molto diversi da quelli che utilizziamo quotidianamente su device portatili e PC Desktop.
E’ inoltre quasi la norma che offrano funzionalità d’intrattenimento al guidatore ed ai passeggeri interfacciandosi ad esempio con gli smartphone per riprodurre le nostre tracce musicali preferite. O ancora che mostrino a schermo la prossima destinazione, grazie al sistema GPS integrato.
Il passo successivo porterà all’integrazione di servizi cloud nei veicoli. Di auto Internet ready si parla almeno dal 2015 e numerose aziende (Honda, Fiat/Chrysler, Ferrari, BMW, Hyundai etc) hanno annuciato sul medio termine l’arrivo di “modelli connessi”: saranno i provider nazionali (in Italia Vodafone, TIM, 3+Wind i principali) a portare Internet nelle macchine (reti 2G, 3G, 4G).
L’idea di fondo non è molto diversa da quella dietro ai dispositivi intelligenti dell’Internet delle Cose. Un’auto con sistema operativo ad hoc ed una connessione ad Internet potrà accedere, come qualsiasi altro device intelligente, a tutta una serie di nuovi servizi destinati a modificare le nostre abitudini e le modalità con cui fruiamo dei mezzi.
Possibili applicazioni della tecnologia
Il GPS è in grado di guidarci a destinazione scegliendo la strada più breve. Quel che non può rivelare con certezza sono gli eventuali imprevisti sul percorso, primo fra tutti il classico “ingorgo”. Certo, in base all’ora in cui il viaggiatore sceglie di mettersi in viaggio è quasi impossibile evitare lunghe code, ma un’automobile cloud ready potrebbe avvantaggiarsi notevolmente delle informazioni sulla viabilità ricevute in tempo reale, facilitando anche il compito di chi deve occuparsi di gestire il traffico cittadino. Le città intelligenti si affideranno probabilmente ai sensori ed alle informazioni ricevute anche dai veivoli in transito per pianificare al meglio la circolazione, riducendo le lunghe code e gli incidenti.
Il settore delle “vetture senza conducente”, sperimentale quanto quello dell’Internet delle Cose, è un altro in cui il cloud potrebbe apportare interessanti novità – è da ricordare che alcune compagnie stanno già testando veicoli di questa tipologia con risultati promettenti (Google, Tesla). Il “pilota automatico”, basandosi sia sulle informazioni ricevute dai sensori integrati che dalla Rete e dalle altre autovetture smart, perfezionerà ulteriormente il proprio stile di guida rendendo più sicuri gli spostamenti a bordo dei veicoli intelligenti.
Se consideriamo che l’81% degli incidenti è provocato da errori umani, che si incorre in incidenti mortali ogni 94 milioni di miglia percorse con auto tradizionali (rispetto alle 130 delle auto sperimentali), è chiaro che un pilota automatico supportato da un sistema cloud ready (come quello descritto in apertura di paragrafo) potrebbe ridurre notevolmente il numero di incidenti – una stima parla del 90% in meno e circa 30.000 vita salvate ogni anno.
Una soluzione analoga potrebbe essere applicata anche a quello dei servizi di trasporto a pagamento. In futuro sarà possibile richiedere l’invio di un “taxi senza conducente” via app. Il taxi, ricevendo in tempo reale le informazioni sulla viabilità, individuerà la migliore strada da percorrere. L’app potrebbe servire anche per “pagare la corsa” con il proprio credito telefonico (o altre modalità accettate) e variare all’occorrenza la destinazione finale del viaggio.
I rischi delle vetture cloud ready
Come qualsiasi dispositivo connesso alla Rete, anche le automobili cloud ready possono diventare un facile bersaglio per hacker e malintenzionati. Uno dei più intensi attacchi DDoS di sempre (Ottobre 2016) è stato lanciato sfruttando proprio le vulnerabilità di alcuni device connessi ad Internet (telecamere di sorveglianza). E’ chiaro che la monimissione di un computer di bordo potrebbe costituire un serio problema per la sicurezza del conducende e dei passeggeri – pensiamo ad esempio ad un taxi driverless hackerato.
Nessun sistema è sicuro al 100%, vulnerabilità e bug sono sempre dietro l’angolo. E’ per questo che le vetture connesse dovranno disporre di sistemi d’emergenza in grado di rendere vani eventuali attacchi ai sistemi di bordo come il controllo manuale o la possibilità di disconnettere immediatamente il sistema dalla Rete.
In generale occorrerà del tempo per certificare e produrre su larga scala dei sistemi driverless sicuri ed in grado di svolgere adeguatamente il proprio lavoro ma per il 2020 “la teoria” potrebbero diventare realtà: una compagnia statunitense progetta ad esempio di lanciare nel 2020 un servizio driverless a Singapore. Per quella data le auto cloud ready potrebbero essere già sul mercato?