E’ un trend che gli analisti osservano ormai da alcuni anni e che sembra guadagnare sempre più consensi: le aziende reputano ideale la migrazione di buona parte o dell’intera infrastruttura on premise nel cloud. I motivi dietro questa scelta sono facili da intuire, i vertici aziendali puntano principalmente all’abbattimento dei costi operativi (manutenzione parco macchine ed acquisto di nuove etc.) e ad un utilizzo a poco prezzo ed on demand di risorse alle quali altrimenti non avrebbero accesso.
Nel post di oggi analizziamo alcuni recenti casi di compagnie celebri nel mondo IT che hanno posto in evidenza l’esodo di diverse attività verso la nuvola – non tutte ovviamente, Dropbox ne è un esempio.
Netflix ed AWS
La piattaforma online di contenuti multimediali, che non ha probabilmente bisogno di presentazioni, si affidò fin dal debutto sul mercato (era il 2008) ad Amazon Web Services. L’intero processo ha richiesto circa otto anni e si è concluso a febbraio 2016. Netflix ha affermato che l’ampia finestra temporale è servita principalmente ad adeguare l’infrastruttura on premise alle esigenze di business ed alle nuove grandezze di scala – rispetto agli esordi, il servizio deve servire adeguatamente un numero di user otto volte superiore dislocato in ben 130 stati.
Ciò ha significato progettare un’infrastruttura cloud scalabile che fosse in grado di operare su scala globale indipendentemente dalle modifiche apportate o dal verificarsi di inaspettati problemi: ecco spiegato il ricorso a micro servizi indipendenti, paragonabili in sintesi a tasselli di un mosaico che possono essere facilmente sostituiti senza interferire con “il quadro generale”.
Secondo alcuni esperti, a determinate grandezze di scala i vantaggi derivanti dall’impiego del cloud pubblico verrebbero meno rendendo obbligato l’impiego di soluzioni private ed ibride. Per il momento Netflix sembra smentire questa teoria.
Evernote e Google Cloud Platform
Evernote è un’applicazione disponibile su diverse piattaforme desktop e mobile: per chi non ne avesse mai sentito parlare si tratta di un “blocco note virtuale” nel quale riversare appunti, articoli ed anche foto; è ovviamente possibile condividere il tutto con amici/colleghi di lavoro e consultare l’archivio da ogni dispositivo/computer nel quale viene effettuato l’accesso con un account Evernote (sincronizzazione dei dati).
L’azienda ha impiegato circa due mesi (ottobre – dicembre 2016) per trasferire oltre 3.5 petabyte di dati dei propri utenti (almeno 200 milioni) dai due data center proprietari alla nuvola Google. Tra i principali motivi della scelta anche l’avanzato portfolio di servizi machine learning che saranno implementati in futuro nella suite Evernote per migliorare l’esperienza di utilizzo degli utenti (es: le ricerche tra gli appunti potranno beneficiare dei servizi in grado di comprendere il testo scritto fornendo risultati più accurati).
New York Times (NYT) tra GCP ed AWS
Il quotidiano statunitense è uno dei pochi ad aver saputo sfruttare a proprio vantaggio il potenzialmente “mortale” avvento delle nuove tecnologie e dell’informazione 2.0 dando vita ad un redditizio business. L’idea del NYT è stata tanto semplice quanto efficace, ovvero arginare l’inevitabile calo di copie cartacee ricorrendo ad abbonamenti digitali con contenuti ed approfondimenti extra disponibili per i soli subscriber. L’ottimo servizio messo a disposizione e l’efficace copertura di cruciali eventi come le ultime elezioni presidenziali (in generale Trump ha ravvivato l’interesse dei cittadini per la politica, che siano sostenitori del 45imo presidente o meno) hanno consentito di allargare rapidamente il numero di subscriber.
Nick Rockwell (CTO NYT) ha affermato di prevedere per i prossimi mesi la dismissione di tre dei quattro data center che attualmente sorreggono l’infrastruttura informatica del giornale. L’edificio che resterà “in uso” sarà quello destinato al montaggio dei video, alla strumentazione di rete e ad alcune vecchie applicazioni (legacy) impossibili da spostare nel cloud. Le piattaforme scelte dal NYT sono AWS (nel cui cloud confluiranno tutte le applicazioni che utilizzavano database Oracle) e Google Cloud Platform (dove troveranno posto tutti gli altri workload accuratamente containerizzati ed orchestrati da Kubernetes). Alle due piattaforme si affiancherà infine il CDN (Content Delivery Network) della startup Fastly, strumento indispensabile per velocizzare il caricamento delle pagine web lato utente.
Accenture: il cloud come differenziatore di business
Chiude la rassegna di note compagnie che hanno scelto di traslocare nel cloud Accenture, multinazionale che per il 2019 prevede lo spostamento del 90% della propria infrastruttura nel cloud – attualmente è intorno al 60%. In una recente intervista (aprile 2017) un rappresentante della divisione Australia – Nuova Zelanda ha affermato che tale decisione non è il frutto di un apprezzamento incondizionato per il cloud quanto una strategia obbligata in quanto “il cloud è un differenziatore di business”.
Agilità, velocità, riduzione dei costi operativi sono i principali vantaggi garantiti dal cloud ed indispensabili per qualsiasi azienda che voglia rimanere competitiva sul mercato. Il punto di svolta è ormai stato raggiunto, afferma, e difficilmente assisteremo ad un contro esodo (dal cloud pubblico al data center proprietario).