Apple e Google sconfitte dalla UE: vediamo il perché delle maxi-multe

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Non è la prima volta in cui si discute di cause intentate dall’Unione Europea o dalle authority nazionali contro i colossi dell’informatica per i più disparati motivi, come ad esempio la scarsa trasparenza nel trattamento dei dati personali, per non garantire la concorrenza in modo corretto, o per il basso livello di protezione. Anche nell’approfondimento di oggi parleremo di due importanti richieste di danni ai danni di due tra le più grandi e famose aziende tech del mondo, vinte entrambe dalla UE.

Andando in ordine alfabetico, partiamo con la causa intentata più di otto anni fa contro Apple da parte dell’Unione Europea poiché, a suo avviso, fino al 2016 l’azienda oggi diretta da Tim Cook avrebbe ricevuto dallo stato irlandese alcune grosse agevolazioni fiscali che non avrebbero portato nelle casse diversi soldi ed avrebbero favorito economicamente Apple sfavorendo invece la concorrenza. Per dare una misura, l’Irlanda avrebbe garantito a Apple dei regimi fiscali, mediante due misure prese nell’arco di vent’anni, che avrebbero dato modo all’azienda americana di pagare soltanto lo 0,005%. È noto come il paese britannico, membro UE, sia da sempre quello che si è reso più attrattivo con le big tech americane grazie ai regimi molto agevolati, quasi ai livelli di un paradiso fiscale, cosa che la corte di giustizia dell’Unione Europea ha ritenuto sbagliata quantificando la cifra che Apple deve restituire all’Irlanda in 13 miliardi di Euro in quanto si trattava di un “aiuto non legittimo”. La beffa per Apple, che negli anni aveva avanzato diversi ricorsi ritenendo sproporzionata la richiesta fatta dall’UE, è che la sentenza adesso è ormai definitiva e non potrà chiedere appello.

Le accuse sono anche particolarmente pesanti, poiché la corte europea afferma anche che proprio in base a questo regime fiscale Apple avrebbe trasferito in Irlanda anche i guadagni ottenuti in tutta l’Africa oltre che in India ed in tutto il Medio Oriente per beneficiare proprio del trattamento di favore. Questa sentenza è arrivata comunque dopo un annullamento avvenuto nel 2020 poiché non erano state portate prove a conforto delle accuse, ma la successiva richiesta di non procedere all’archiviazione ha avuto poi successo e nel 2023 la corte è tornata sui suoi passi. A quanto pare non ci dovrebbero essere nuovi colpi di scena sulla vicenda ma ovviamente come spesso accade in certi casi ogni condizionale è d’obbligo.

Passando invece al caso più recente, torniamo a parlare dell’ormai annoso scontro tra Google e l’Unione Europea, che da anni lottano per una lunga quantità di questioni, ma in primis per i dati e per il loro trattamento da parte del colosso di Mountain View. Anche in questo caso c’è una multa da pagare, pari a 2,4 miliardi di Euro, a seguito di una richiesta avvenuta ormai sette anni fa, quando Google venne accusata di non garantire una corretta concorrenza con le sue pratiche. Il nocciolo della questione, iniziata nel 2017, era relativa alla parte Shopping del motore di ricerca, che a dire di chi accusava non comparava i prezzi in senso equo ma dando maggiore importanza a coloro che pagavano le sponsorizzazioni. Questo non avrebbe chiaramente favorito la concorrenza leale tra marchi favorendo soltanto quelli disposti a pagare.

Come fa notare la UE, ormai Google ha accumulato una quantità di sanzioni dall’antitrust che è arrivata ad una cifra, ancora da corrispondere, oltre gli 8 miliardi di Euro, questo perché, come spiega la commissaria europea che si occupa di concorrenza Vestager, l’azienda americana sarebbe presente in tutti i passaggi relativi alla pubblicazione di contenuti sponsorizzati, cosa che limita il mercato ed obbliga le aziende a rivolgersi esclusivamente a lei. Anche in questo caso vedremo se le multe verranno pagate anche perché quelle relative ad Android e AdSense sono ancora in fase di giudizio definitivo, ma se anche in questo caso il risultato fossero due sentenze sfavorevoli è anche possibile che Google debba pensare alla vendita di qualche pezzo d’azienda per compensare i costi.

 

Fonti: 1, 2, 3